Dacia Maraini, non mi dire che le donne sono buone

Dacia Maraini – Non mi dire che le donne sono buone

“Non mi dire che le donne sono buone” e “Non sappiamo amarci” sono poesie del 1978, scritte in piena ondata femminista, quando le donne cominciano a interrogarsi su sé stesse in rapporto ad un mondo che non le rappresenta.

Maraini confronta la violenza degli uomini e quella delle donne, ma soprattutto non dice che le donne sono migliori: anche le donne sono capaci di violenza, solo che la esercitano diversamente. Un’analisi cruda, e sincera, messa in forma poetica, nel momento in cui le donne si mettevano a nudo una di fronte all’altra.

E ora, dopo quarant’ anni cosa possiamo dire? Cosa resta di quest’analisi di Maraini? Cosa è cambiato nel rapporto fra donne?  (R.M.)

 

NON MI DIRE CHE LE DONNE SONO BUONE

le tue piccole orme selvatiche
i tuoi fianchi di carne celeste
le lune dei tuoi occhi disfatte
com’è fragile la nostra amicizia
mangiamo sedute sull’erba
il sole ci scalda le gambe
non mi dire più che le donne
sono naturalmente buone e candide e affiatate
non è vero
l’aggressività noi non la buttiamo nelle guerre

o nelle battaglie di strada
o nelle scalate al potere
o negli assalti alle banche
ma siamo così feroci
nel morderci l’un l’altra il collo
mi succhi gli occhi come uova
mi frughi nel ventre con la mano ad artiglio
mi torci la lingua
mi bruci le punte delle dita con l’accendino
soavemente e teneramente
in nome della gentilezza femminile
ci torturiamo tu e io con aghi ricurvi
così buone con figli i mariti gli amanti
così perfide con noi stesse
nella tua faccia mongola
vedo i segni delle paure e delle ire
che deturpano la tua vita la mia vita
tiri su a brandelli il prosciutto
strappi un pezzo di pane coi denti
non mi dire più che la violenza non ci appartiene
donna di garza e di brina
com’è fragile il nostro amore
siamo appena nate e già ci uccidiamo
in nome della non violenza e della solidarietà di sesso.

NON SAPPIAMO AMARCI

ancora non sappiamo amarci
pelle a pelle occhi a occhi
il lungo digiuno ci brucia la gola
siamo restie paurose infide
guarda come balla la vespa sul parabrezza
non ci fidiamo di noi
io con la mia lingua affumicata
tu con il tuo palato di gesso
guarda come è morbida la strada
hai il muso cocciuto di una trota che
nuota verso la montagna per deporre
le uova nel cavo di una roccia schiumosa
il disprezzo di noi si fa carne e sangue
e aria e midollo e spine nel ventre bendato
il grembiule puzza di minestra
se piangi ti lecco le lagrime
sei buia e candida e hai bisogno di me
ma credi di odiarmi siamo due asine da soma
due rane legate per le zampe
che ci facciamo insieme tu e io, che cosa?
e se smettessimo di mangiarci la lingua,
di farci i nodi alle viscere?
Dammi le mani sono uguali alle mie,
e se provassimo ad amarci ad occhi chiusi
a occhi aperti fiato dentro fiato
accettandoci come siamo le bruttezze
e le bellezze mescolate con l’aria
dei tuoi polmoni dei miei?

 

tratte da: Dacia Maraini,  Mangiami pure, Einaudi, 1978

 

 

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