Lo sguardo di Margareth Bourke-White dentro la Storia
“Trovare qualcosa di nuovo, qualcosa che nessuno avrebbe potuto immaginare prima, qualcosa che solo tu puoi trovare perché, oltre ad essere fotografo, sei un essere umano un po’ speciale, capace di guardare in profondità dove altri tirerebbero dritto.”(Margareth Bourke – White)
(foto: In coda per il pane dopo l’inondazione di Louisville, Kentucky)
Nell’olimpo delle migliori e dei migliori fotografi al mondo, c’è lei, Margareth Bourke-White: sin da giovanissima determinata ad eccellere e ad essere la prima. E prima lo è stata in svariate cose, come coraggiosa e temeraria in tante occasioni.
Nella prima foto, mozzafiato, è lei ad essere ritratta, nel 1934, su un gargoyle d’acciaio, sporgente dal Chrysler Building al 61° piano!
È stata la pioniera del fotogiornalismo e la prima donna fotografa di Life. Le sue foto testimoniano tutti i grandi eventi e le tragedie accadute nella prima metà del ‘900.
(foto: Donne russe raccolgono il fieno in un fattoria collettiva, agosto 1941)
Prima donna, e fotografa, ad ottenere un visto in URSS per un reportage sull’industria negli anni trenta, lei che di fotografia industriale era esperta. Prima donna accreditata dall’esercito americano sulla prima linea del fronte. Nel 1941 da Mosca, strettamente sorvegliata dai servizi, riesce a inviare uno scoop a Life: un reportage della capitale russa, e foto che mostrano una città in cui esistono chiese, ortodosse e protestanti, una di fianco all’altra nel centro della città. Life riesce, grazie a Margareth, a mostrare una Mosca diversa, sdoganata da un’idea di totalizzante ateismo, quell’ateismo di regime che fissava la Russia nell’immagine del nemico comunista; quelle foto “aprono” alla possibilità che la potenza sovietica possa essere un’alleata contro il nazismo, come infatti è stato.
Il 19 luglio del 1941 è l’unica fotografa straniera a trovarsi a Mosca, durante il primo bombardamento aereo notturno dei tedeschi sulla città. Lei lo documenta dal tetto dell’ambasciata statunitense, con tutte le macchine fotografiche che ha a disposizione, e le difficoltà tecniche ed ambientali connesse.
(foto: Norimberga dopo i bombardamenti, 1945)
Documenta l’apartheid in Sudafrica, la guerra in Corea, intervista e fotografa Gandhi poche ore prima del suo assassinio. Per la prima volta una rivista del tempo, Life, rompe un tabù e pubblica le sue foto, in cui la guerra è colta nei suoi aspetti più crudi e disumani.
(foto: Bambina di fronte al filo spinato che segna la recinzione della sua casa, Sud Africa, 1950 e Miliziani Sud Coreani con la testa decapitata di un membro della guerriglia comunista Nord Coreana, 1952)
É costretta a ritirarsi nel 1957, a 53 anni, quando il tremore del Parkinson non le permette più di scattare foto. Nel 1963 scrive la sua emozionante biografia, “Il mio ritratto” (“Portrait of myself”).
Muore a 67 anni, in casa, sola, per una caduta.
Indimenticabile.
(foto: Margareth Bourke-White il giorno in cui ha fotografato l’attacco aereo statunitense a Tunisi durante la Seconda Guerra Mondiale)
Nel 1991, Annie Leibovitz, ritorna sullo stesso sperone del Chrysler Building e, immortalata da John Loengard, cita la fotografa che l’ha preceduta 57 anni prima:
“Non posso fare a meno di sentire che avremo l’ombra di Margareth Bourke-White su di noi.
Ma è bello, è veramente bello.”
La storia di Leibovitz è tutta un’altra storia, ma è una storia in cui Bourke-White c’entra eccome. Margareth i varchi li ha aperti tutti. (R.M.)
(Annie Leibovitz ed il suo assistente Robert Bean sul Chrysler Building, foto di John Loengard, 1991)