ALLE DONNE PIACE SOFFRIRE?
Il libro “Alle donne piace soffrire?” di Betty Argenziano si apre con questa frase di una delle guide del movimento suffragista del Regno Unito, Emmeline Pankhurst : “Dobbiamo liberare metà della razza umana, le donne, così loro possono aiutare a liberare l’altra metà”.
Facile a dirsi, quando molto spesso non ci accorgiamo nemmeno di non essere libere.
Certo che “libere” è una parolona, ma qui stiamo parlando della libertà ad essere come si è.
Già, perchè se non ci depiliamo fino al midollo non siamo guardabili; se ci spunta un capello bianco abbiamo ormai un piede nella fossa (anche se ora le “sbiancate” vanno di moda); se sul nostro viso si intravede una ruga o mezza occhiaia, non possiamo uscire di casa; se non abbiamo il tacco 12 non siamo donne, e potremmo continuare così per un po’.
In realtà, l’aspetto più dolente delle cose, è che un certo tipo di società ci ha tolto e negato la nostra libera sessualità femminile.
Infatti, come argomenta Argenziano, recenti ricerche neurobiologiche hanno anche dimostrato che l’attivazione dell’energia sessuale femminile coincide con quella della sua energia creativa e mentale, che vagina e cervello sono organi profondamente connessi.
Già nel 1978, Audre Lorde diceva che noi “non ci prendiamo cura della radice erotica del nostro lavoro”, avendo ben presente che “la parola stessa erotico viene dal greco eros, la personificazione dell’amore in tutti i suoi aspetti: nato dal caos, impersona il potere creativo e l’armonia.” Dunque, quando Lorde parla dell’erotico parla “dell’affermazione della forza vitale delle donne; di quell’energia creativa ricca di potere, di cui noi oggi rivendichiamo la conoscenza e l’uso nel nostro linguaggio, nella nostra storia, nel nostro danzare, nel nostro amarci, nel nostro lavoro e nelle nostre vite”.
Insomma, ce ne siamo perse un bel pezzo.
“Alle donne piace soffrire?” è una lunga, chiarissima ed efficace disamina di tutti i modi attraverso i quali noi tutte passiamo quotidianamente per rendere il nostro corpo accettabile “agli altri”, desiderabile secondo schemi di pensiero che ci hanno inventate come donne. Ma ci parla anche delle realtà agghiaccianti delle mutilazioni e deformazioni del corpo femminile, dall’infibulazione alle deformazioni delle mammelle, dei polpacci e dei piedi e del collo, tutte operazioni che rendono la donna debole, non autonoma, inabile, repressa, controllabile, umiliata e sottomessa.
Nella società occidentale, per nostra mano, ogni giorno, perpetuiamo un modo di essere femminile che non ha nulla di naturale.
Argenziano, con molta sensibilità e ironia, scardina tale concetto chiedendosi come sia possibile che di fronte ai mali di una società e di un mondo dove imperversa l’ingiustizia, accadono o incombono tragedie e le catastrofi sono imminenti, dedichiamo tutto questo tempo alla “bellezza” del nostro corpo, mentre servirebbe trovare strade per creare benessere interiore e fuori nel mondo.
La risposta non la si può dare facilmente, talmente è complessa la cultura che ci invischia dentro queste reti, ma farsi la domanda è fondamentale, è l’inizio da cui partire, la base sulla quale appoggiare una nuova consapevolezza di noi: come uscire da un corpo castigato, dal castigo di un corpo per farne un corpo libero di essere qualunque cosa voglia essere?