I 7 giorni in cui Irma Bandiera morì e vinse
Irma Bandiera, apparteneva a una famiglia agiata di Bologna, ma decise di appartenere anche alla VII° Brigata Gap: con coraggio e fortissima determinazione – quella che arriva dal profondo quando ci si rende conto che “starne fuori e guardare” diventano azioni di colpevole omissione e complicità – si unì alla Resistenza come staffetta partigiana.
Il suo nome di battaglia era Mimma.
Nell’agosto del 1944, ritornando da una missione a Castelmaggiore, dove aveva portato delle armi ai suoi compagni nella base della Brigata, incontrò, sulla strada di Funo, un gruppo di militari nazisti. Vi fu uno scontro a fuoco, venne fatta prigioniera e, per farla parlare, consegnata nelle mani di una Compagnia fascista del territorio.
Chissà quegli uomini cosa pensarono: fedeli credenti della sopprafazione di genere, della forza e del coraggio esclusive caratteristiche biologiche di un solo sesso; chissà cosa pensarono… che magari fosse un compito facile vincere la resistenza di un corpo pensato debole e bisognoso di protezione, di una mente considerata fluttuante e suggestionabile.
Sì, certamente pensarono di dover svolgere un compito facile: questione di qualche ora, di poche ore, un giorno a pensare in lungo.
Mimma venne torturata per una settimana.
Sette giorni: un giorno, due giorni, tre giorni, quattro giorni, cinque giorni, sei giorni, sette giorni. Il tempo scorre diversamente a pensare e pronunciare i giorni uno per uno.
Il tempo attraversò e trafisse Mimma frazionando i giorni le ore e i minuti in istanti di devastante attesa, istanti di dolore, istanti vissuti con la certezza che la fine fosse vicina.
Un tempo comunque impensato per quegli uomini, impensabile per me che non riesco a star ferma col pensiero su quei suoi momenti, la mia mente scappa impaurita.
Non resisto.
Portava con sé dei documenti cifrati Mimma, e i suoi torturatori le chiedevano i nomi dei suoi compagni, che lei per sette giorni non svelò. Niente di niente. La ferocia di quegli uomini crebbe e si fece più devastante: venne accecata. Il buio arrivò ma lei non parlò.
Era ancora viva quando fu portata davanti alla casa dei suoi genitori. I fascisti speravano ancora che parlasse, o forse era solo un modo per suscitare terrore nella gente che guardava o spiava quei momenti; l’ultimo atto ritenuto utile dopo aver esperito l’inutilità dei precedenti. La incitarono a parlare, le dissero che poteva ancora salvarsi, essere soccorsa dai suoi genitori, se solo avesse rivelato i nomi. Ma Mimma rimase in silenzio.
E dopo il silenzio, partirono diversi colpi di mitraglia, invasero il vuoto che s’era fatto in strada, risuonarono nelle finestre delle case intorno, trafissero l’udito di chi di nascosto assisteva alla scena.
Il silenzio di Mimma si tramutò in un silenzio diverso, ma quel silenzio sconfisse definitivamente quegli uomini.
Il suo povero corpo martoriato venne lasciato a terra, sulla strada, per un giorno intero.
Un giorno intero. Che tutti vedessero e capissero cosa significava resistere.
Come Mimma la resistente, che è riuscita a resistere alla loro violenza, al Male che rappresentavano.
Quella strada dove Mimma venne uccisa ora porta il suo nome, e sul muro dove il suo corpo venne lasciato come monito, è stato inaugurato un bel murales colorato.
C’è una frase di Sandro Pertini che le attraversa il bel viso sorridente dei suoi 29 anni:
“La coerenza è comportarsi come si è, e non come si è deciso di essere.”.
Ieri e domani, ogni giorno, Mimma è lì, e sorride.
Ci sorride.
Un sorriso che le va restituito, provando anche noi a resistere quando (non se ma quando) un giorno la vita ci chiederà di farlo.
(Irma Bandiera 8 aprile 1915 – 14 agosto 1944)
(R.M.)