Charlotte e le altre, ovvero davanti ad ogni donna c’è un uomo che la oscura
Una delle poche cose certe che posso affermare con tranquillità, nella mia dubbiosa vita, è che Le Corbusier (creatore di Ville Savoye, dell’Unité d’habitation di Marsiglia e della Chaise Longue LC4), Frank Lloyd Wright (progettista della Casa sulla Cascata, delle Prairie House e del Guggenheim Museum di New York) e Ludwig Mies van der Rohe (autore del Padiglione di Barcellona, del Seagram Building di New York e di “Less is more”), sono stati i “padri fondatori” dell’architettura del XX secolo.
MA… che cosa possiamo dire sulle “madri” dell’architettura moderna? Non esistono? O solamente non se ne parla mai? Al fianco di questi tre “potenti” uomini, non ci sono mai state delle donne?
Beh, del fatto che Le Corbusier non amasse troppo la concorrenza femminile, ne abbiamo già parlato a proposito della vicenda della E-1027 di Eileen Gray. Eppure alcuni dei suoi più grandi successi nacquero proprio dalla collaborazione con una donna.
Nel 1927, una giovane neolaureata, ebbe il coraggio di presentarsi nel famoso Atelier di Rue de Sèvres 35, con la sua cartella piena di disegni, per proporsi come collaboratrice; si dice che Le Corbusier le rise in faccia dicendo: “Qui non ricamiamo cuscini”. Battuta molto infelice, soprattutto perché quella donna era Charlotte Perriand, che diventerà un vero e proprio caposaldo nel progetto di rinnovamento dell’architettura promosso da Le Corbusier, soprattutto perché, con il suo talento, riuscì ad aggiungere una dimensione di umanità al talvolta freddo razionalismo dell’architetto.
Charlotte metterà la sua firma su famosissimi complementi d’arredo, ancora oggi in produzione (come il tavolo LC6 e lo sgabello LC8). Ma la produzione di Perriand non si limitò alla collaborazione con lo studio di Le Corbusier. Dal ’40 al ’46 andò in Giappone, dove il suo design si contaminò con le antiche tecniche di lavorazione del bambù, che erano perfette per esaltare le nuove forme già sperimentate con i tubolari d’acciaio. Negli anni successivi le saranno commissionati allestimenti da enti del calibro di Air France, nonché da diverse istituzioni straniere, a testimonianza di una fama che ha ormai acquisito una dimensione internazionale. Già, internazionale, ma non abbastanza per darle un posto di primo piano nella storia dell’architettura.
Ma, se Le Corbusier riconobbe sempre il lavoro fatto da Charlotte Perriand, questo non accadde invece a quei capolavori disegnati da Marion Mahoney Griffin, che per più di un secolo vennero attribuiti sempre alla mano di Frank Lloyd Wright.
Marion, oltre ad essere una delle prime donne laureate in architettura dell’Illinois, era considerata “il miglior disegnatore edile della sua generazione” (il linguaggio di genere aveva ancora da arrivare, ma lei era la migliore, tra tutti i suoi colleghi uomini).
Marion disegnò per Wright per circa 15 anni, prima mobili, vetrate e poi, grazie alle sue capacità, divenne responsabile della progettazione artistica, e disegnò planimetrie, prospetti acquerellati, ripassati a inchiostro e carichi della presenza di vegetazioni lussureggianti. Sì sì, proprio quelli con cui lui divenne famoso in tutto il mondo…
Wright, infatti, sottovalutò sempre il contributo della sua dipendente, ma oggi è un dato di fatto accertato che più della metà dei disegni presenti nel Wasmuth Portfolio (compendio alle sue opere, edito a Berlino, composto da 100 litografie e molto significativo per il suo successo in Europa) sono opera della sua collaboratrice, che fu in seguito totalmente dimenticata dalla storia ufficiale.
Quasi la stessa sorte toccò anche a Lili Reich: quando Mies Van Der Rohe divenne famoso e, dalla Germania, si trasferì negli Stati Uniti, cancellò Lili dalla propria storia (cosa che comportò anche la sua totale assenza dai libri).
Quindi, praticamente nessuno sa che, una trentina di anni prima Lili era stata la sua compagna, socia e amministratrice, nonché collaboratrice ad alcuni progetti di allestimenti, tra cui il celebre Padiglione Tedesco all’Esposizione Universale di Barcellona del 1929, che fu una delle opere che lo resero famoso.
Lili aveva infatti una solida formazione viennese (aveva studiato con Joseph Hoffman) per quanto riguarda l’arredamento, le stoffe, i tessuti; in Germania divenne esponente del Werkbund e si specializzò anche in allestimenti fieristici e mostre, fino ad arrivare ad insegnare interior design alla Bauhaus.
Gae Aulenti, una delle più grandi architette italiane del ‘900, aveva detto: “L’architettura è un mestiere da uomini, ma io ho sempre fatto finta di nulla”.
Credo che, quasi sicuramente, anche Charlotte, Marion e Lili avessero fatto finta di nulla… (E.N.)