Alfonsina Strada la temeraria e come l’uso della bici abbia contribuito all’emancipazione delle donne
Che lo sport possa essere una straordinaria occasione di emancipazione femminile, capace di lanciare a tutte un messaggio di vitalità, autoaffermazione, autonomia, è ormai evidente. Non a caso figurano diverse sportive tra le donne ritratte nelle ormai celeberrime Storie della buonanotte per bambine ribelli – uno dei libri per ragazze e ragazzi più apprezzati degli ultimi anni. Tra le “ribelli” di tutto il mondo descritte nel libro ci sono la tennista Serena Williams e la sollevatrice di pesi Anna Al Haddad, la ginnasta Simone Biles, le boliviane Chopita Climbers e, prima fra tutte, Alfonsina Strada, la temeraria che nel 1924 corse il Giro d’Italia con gli uomini. La sua vicenda è una tappa cruciale per la nascita dello sport femminile e al tempo stesso è uno degli esempi più chiari della particolare alleanza che si è venuta a creare da subito tra donna e bicicletta.
Nella seconda metà dell’Ottocento, quando si diffondono i primi velocipedi, l’apparire delle cicliste non lascia indifferenti, proprio perché la bici dimostra il suo grande potenziale in materia di sovversione dei tradizionali rapporti tra i sessi. E siccome da che mondo è mondo il controllo della donna passa preferibilmente per la regolamentazione del suo corpo, per vietare o sconsigliare l’uso dei velocipedi ci si servì, oltre che di argomenti di costume e buon costume, di fantasiose giustificazioni pseudo-mediche: alle sconsiderate pedalatrici venivano paventate malattie infettive, danni al sistema respiratorio, disturbi cardiaci, cali di peso, squilibri del sistema nervoso e danni agli organi di riproduzione; c’era persino chi sosteneva che la posizione sulla bicicletta potesse favorire pratiche onanistiche, tanto che ci si affannò a progettare sellini piatti che non offrissero alle signore clandestine occasioni di godimento. Godimento no, ma piacere certo ce ne doveva essere, ad andarsene in giro senza cocchieri e accompagnatori, sotto gli sguardi increduli dei benpensanti.
Lo era certamente per la chanteuse Lina Cavalieri e l’attrice Sarah Bernhardt o per la regina d’Italia Margherita di Savoia, addestrata alla guida della bici da Edoardo Bianchi in persona e iscritta al Touring Club Ciclistico Italiano, nato nel 1894. Nello stesso anno, mentre in Italia si svolgeva la prima gara ufficiale di ciclismo femminile, Annie Londonderry partiva da Boston per compiere un giro del mondo in bicicletta. Obiettivo: tornare dopo quindici mesi con cinquemila dollari guadagnati. Annie non era una nobildonna in vena di passatempi trasgressivi: nella bici cercava non divertimento, ma riscatto. Tornò femminista, in pantaloni e con denaro suo in tasca. Come Alfonsina Strada, la pioniera delle cicliste italiane.
Alfonsa Morini era nata a Castelfranco Emilia da una povera famiglia contadina. Secondogenita di una prole numerosa, impegnata fin da piccolissima nella cura della campagna e dei fratellini, vede la sua vita cambiare una domenica del 1901, quando il papà Carlo torna a casa con una bicicletta. Da allora la ragazza sfoga nelle due ruote il suo desiderio di fuga e di sfida. Non si trattò di un gesto dichiaratamente femminista, ma certo l’animava un moto istintivo di riscatto sociale, un mettersi all’inseguimento di opportunità che in una famiglia di braccianti si potevano a stento immaginare.
Alfonsa comincia a correre nei dintorni, diventando un polo di attrazione: la chiamano “la matta”, crescendo diventa “il diavolo con la sottana”… finché non capisce che, come già tanti uomini, può fare della sua passione un mestiere. Nel 1907 parte così per Torino, dove le donne che corrono sono già parecchie: la Bersonetti, la Bonetti e, sopra tutte, Giuseppina Carignano, che Alfonsa batterà, conquistando il titolo di Miglior ciclista d’Italia. Nel 1911 stabilisce il record mondiale di velocità femminile (37 km/h), battendo la francese Louise Roger e, nello stesso periodo, si fa notare piazzandosi settima in una gara campestre, a Stupinigi – unica donna contro cinquanta uomini. Il cuore del ciclismo, però, è Milano, ed è lì che si trasferisce. Tra una gara e l’altra conosce l’artigiano Luigi Strada, che appoggia completamente la sua passione. Vanno a vivere insieme e nel 1915 si sposano. Regalo di nozze: una bicicletta per correre.
E Alfonsina corre.
Quando l’Italia entra in guerra lo sport passa in secondo piano, molti giornali specializzati chiudono e le corse delle donne scompaiono. Al Giro di Lombardia del 1917, disputato a pochi giorni dalla disfatta di Caporetto (il governo ordina infatti di “non demoralizzare il paese”), Alfonsina si classifica ultima, con un’ora e mezza di ritardo dal vincitore. Già esserci, tuttavia, è un risultato non da poco. Nel 1924, dopo diversi tentativi falliti, riesce finalmente a iscriversi al Giro d’Italia: per un conflitto tra case ciclistiche e organizzatori del Giro gli iscritti scarseggiano, e Cougnet e Colombo pensano che arruolare questa bizzarra ragazza possa essere una buona trovata pubblicitaria. E il 10 maggio, alla partenza, tra i novanta partecipanti c’è anche lei.
Inizialmente Alfonsa non è presa sul serio, ma poiché attira folle di curiosi e offre ai giornali materia di pettegolezzo, ben venga la sua presenza. Così Silvio Zambaldi su «La Gazzetta dello Sport» di mercoledì 14 maggio, all’indomani della seconda tappa:
In sole due tappe la popolarità di questa donnina si è fatta più grande di quella di tutti i campioni assenti messi insieme. Lungo tutto il percorso della Genova-Firenze non si è sentito che chiedere: – C’è Alfonsina? Viene? Passa? Arriva? A mortificazione dei valorosi che si contendono la vittoria finale, è proprio così. È inutile, tira più un capello di donna che cento pedalate di Girardengo e di Brunero. […] D’altronde a quale scopo, per quale vanità sforzarsi d’arrivare un paio d’ore prima? Alfonsina non contende la palma a nessuno, vuole solo dimostrare che anche il sesso debole può compiere quello che compie il sesso forte. Che sia un’avanguardista del femminismo che dà prova della sua capacità di reclamare più forte il diritto al voto amministrativo e politico?
Incurante dei commenti sarcastici, Alfonsina sfrutta con intelligenza la visibilità ottenuta: come trent’anni prima Annie Londonderry, ottiene un grande successo tra il pubblico, che colleziona le sue cartoline e si organizza raccogliendo denaro per sostenerla. Persino re Vittorio Emanuele III le fa trovare, dopo la terza tappa, un enorme mazzo di fiori e una busta con 5000 lire. In un’intervista al Guerin Sportivo Alfonsina dichiara:
sono una donna, è vero, e può darsi che non sia molto estetica e graziosa una donna che corre in bicicletta. Vede come sono ridotta? Non sono mai stata bella; ora sono… un mostro. Ma che devo fare? La puttana? Ho un marito al manicomio che devo aiutare; una bimba in collegio che mi costa dieci lire al giorno, che spedii subito e che servirono per mettere apposto tante cose. Ho le gambe buone, i pubblici di tutta Italia (specie le donne e le madri) mi trattano con entusiasmo. Non sono pentita. Ho avuto delle amarezze, qualcuno mi ha schernita; ma io sono soddisfatta e so di aver fatto bene.
Questa e altre testimonianze dell’epoca sono riunite nel bel libro Paolo Facchinetti Gli anni ruggenti di Alfonsina Strada, che contiene fotografie e articoli di giornali, la più completa delle opere dedicate ad Alfonsina. L’autore ripercorre nei dettagli il durissimo Giro del ’24: il momento di sconforto e l’idea del ritiro dopo essere arrivata ultima alla Taranto-Foggia, il manubrio riparato con un manico di scopa e l’arrivo trionfale nella sua Bologna… Finché, il 1° giugno, la gara finisce. Di 90 iscritti ne arrivano 30 e tra questi c’è Alfonsina, prima e ultima donna ad aver corso un Giro con gli uomini. Era arrivata complessivamente con 28 ore di ritardo rispetto al primo, ma aveva pedalato per tutti i 3613 chilometri previsti. Tra soldi, medaglie, sponsorizzazioni e altri riconoscimenti aveva messo insieme – si dice – ben cinquantamila lire; ma soprattutto aveva guadagnato la fama e, prima ancora, il riconoscimento delle sue capacità, della sua tenacia.
E dopo? Alfonsina a trentatré anni è famosa e ricercata dai velodromi di tutto il mondo. Quasi ricca, continua a lavorare e sa amministrarsi: corre in bicicletta, lavora negli spettacoli di varietà di Anna Fougez e viaggia in tutta Europa; a Parigi si fa raggiungere dalla madre, come a condividere un pezzettino della sua inaudita emancipazione. Morto in manicomio il primo marito, Alfonsina si unisce a Carlo Messori, ex-ciclista e massaggiatore. I due si esibiscono insieme in giro per l’Italia, poi si trasferiscono a Milano e mettono su un’officina di riparazioni per biciclette, divenuta mitica.
Alfonsina muore il 13 dicembre 1959, stroncata da un infarto che la coglie mentre cerca di avviare la sua moto Guzzi. Negli ultimi anni pensava di essere stata dimenticata, ma gli articoli affettuosi con cui la ricordano i giornali dimostrano l’opposto.
Oggi di Alfonsina Strada si torna a parlare sempre più spesso: sul web, in articoli, spettacoli e libri, e molte donne impegnate nello sport e nel sociale la considerano punto di riferimento. È il caso di Linda Ronzoni e Silvia Gottardi che, nel 2015, hanno attraversato l’Italia in bicicletta in suo onore, come raccontano sul loro sito:
A giugno attraverseremo l’Italia in bicicletta: da Milano a Catania, circa 1.650 km. Ripercorrendo simbolicamente il Giro d’Italia del 1924 di Alfonsina Strada, per porre l’attenzione sui diritti delle donne, in un momento storico in cui si parla molto di donne e pari opportunità, ma in cui purtroppo le donne sono ancora vittime di violenza e discriminazione. […]
Più di cento anni fa, la suffragetta inglese Alice Hawkins girava in bici per Leicester a promuovere il movimento per i diritti delle donne, provocando indignazione per essere una delle prime a indossare i pantaloni in città. Noi pedaliamo verso l’uguaglianza di genere e l’emancipazione femminile.
Dopo quasi un secolo, dunque, la vicenda di Alfonsina continua a motivare e a muovere le donne, non solo sportive professioniste. Come già le suffragette, le staffette partigiane, le operaie e le cicliste di ogni epoca, le donne di oggi possono ancora trovare nella bici un’alleata ideale per il proprio percorso di emancipazione, un mezzo da usare sì con le gambe, ma anche con la testa. Come dimostra il fatto che molte migranti di oggi vogliano imparare, grazie ai corsi che nascono nei territori, a muoversi autonomamente in bicicletta. La storia continua a pedalare. (D.A.)
– Donatella Allegro, E io pedalo. Donne che hanno voluto la bicicletta, Edizioni del Loggione, 2017
– Paolo Facchinetti, Gli anni ruggenti di Alfonsina Strada, Portogruaro, Ediciclo, 2014
– Gudrun Maierhof, Katinka Schröder, Ma dove vai bellezza in bicicletta?, Milano, La Tartaruga, 1993
– Peter Zheutlin, Il giro del mondo in bicicletta. La straordinaria avventura di una donna alla conquista della libertà, Roma, Elliot edizioni, 2011
– http://www.ciclistepercaso.com