Pippa Bacca, un’ artista non convenzionale: l’abito da sposa e l’autostop come messaggi di pace e fiducia verso il prossimo.
Sono passati dieci anni esatti dalla drammatica scomparsa di Pippa Bacca (Rif. 11/04/2008), forse in tanti non ricordano neppure chi fosse, ma sono sicura che chi l’ha conosciuta sentirà ancora un enorme vuoto.
La passione del viaggio in autostop accompagna Pippa sin da piccola quando, al rientro dal Cammino di Santiago, sua madre decide di rientrare a casa a Milano in autostop, facendo così conoscere alle sue figlie una tradizione in uso nella sua famiglia, un viaggio di apertura alla conoscenza dell’altro e di fiducia verso il prossimo. Sicuramente questo episodio ha segnato il carattere della performer, dato che nella sua vita ne ha poi fatto una vera e propria consuetudine, di spostamento e opportunità.
Pippa, nel suo percorso artistico, sceglie la strada della performance art, una forma d’arte interdisciplinare che connette molteplici canali e altrettanti messaggi che l’artista vuole comunicare al suo pubblico. Nel suo caso le opere sono sempre ambivalenti, come per gli scatti fotografici che era solita fare a chi le dava un passaggio, ritagliati a forma di mezzo di trasporto. Un lavoro che gioca sull’ambiguità, la CON-FUSIONE tra realtà e apparenza.
L’opera <<Surgical Mutation>> del 2004 evidenzia perfettamente quest’ultimo concetto, la diversità celata dietro un’apparenza e le infinite possibilità di interpretazione da parte dell’occhio esterno che osserva. Quest’opera consiste nell’esposizione di foglie di un certo tipo di piante ritagliate con i contorni di piante differenti: quale foglia, dunque, è autentica? Lo sono entrambe, ciò che conta non è l’aspetto (la forma) ma l’essenza. Un concetto che, se vogliamo, si può applicare anche ad altre sfere, come quella umana: un transessuale che nasce prigioniero in un corpo diverso da quello che realmente sente suo; una persona che segue le tracce imposte dalla società e non si esprime come vorrebbe; un abito da sposa addosso a una donna che non si sposa ma che viaggia in autostop alla ricerca di unione e pace tra popoli diversi. Ed ecco nascere la sua ultima performance: non un unico obiettivo ma una rete di intenzioni, purtroppo tragicamente interrotte.
Il progetto Brides in Tour – Spose in viaggio è nato da un’idea di Pippa Bacca in collaborazione con Silvia Moro, artista che prenderà parte al progetto di persona. L’obiettivo è quello di attraversare undici paesi afflitti da guerre, discriminazioni, vittime di mentalità prevalentemente maschilista, e durante l’intero viaggio indossare la veste nuziale come simbolo di amore, pace, fertilità, purezza. Ogni velo della gonna strutturata a forma di Giglio (innocenza) è di tessuto diverso e in totale sono 11 strati, uno per ogni paese visitato sul quale lasciare con la traccia del ricamo un filo simbolico che unisce tutte le donne del bacino del Mediterraneo. L’abito bianco si fa carico di un viaggio di speranza, dove si incontrano ostetriche, artiste, casalinghe dei luoghi (Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia, Bulgaria, Turchia, Libano, Siria, Egitto, Giordania, Israele) per intessere uno scambio culturale, accompagnato dalla scelta dell’autostop per rimarcare la fiducia nel prossimo e confermarla strada facendo con l’accumularsi di esperienze quasi sempre positive.
Pippa aveva con sé un diario in cui annotava conversazioni e scambi avuti nei suoi tanti viaggi in autostop; a volte registrava le conversazioni e sempre scattava una foto ricordo del conducente.
Il viaggio delle due Spose iniziò in un giorno non casuale, l’8 marzo, giornata internazionale della donna, e oggi credo sia importante ricordarla affinché i suoi “messaggi” non si perdano nel dimenticatoio. Innanzitutto per scardinare quei forti pregiudizi che macchiano il pensiero della gente, tra cui: << Vestita in quel modo se l’è proprio andata a cercare>>. Lo stereotipo dell’abbigliamento come causa di violenza sessuale dev’essere condannato, e in questo caso una donna vestita da sposa non può di certo aver provocato l’istinto di un maschio all’abuso.
A tal proposito menziono una mostra che si è conclusa giovedì scorso 21 marzo (con la speranza che si replichi altre volte), figlia di un progetto ideato dalla fotografa statunitense Katherine Cambareri per scardinare la facile tendenza di associare il vestito indossato alla violenza subita, riassumibile nella frase molto conosciuta <<Se l’è cercata!>>.
L’esposizione chiamata “Com’eri vestita?” è stata curata, in Italia, dalla cooperativa Cerchi d’acqua, presso la Casa dei Diritti di Via De Amicis a Milano. In mostra gli abiti indossati dalle donne vittime di abuso sessuale e accanto una breve didascalia dell’accaduto. Un costumino da bagno da bambina, una camicia per recarsi al lavoro in ufficio, un vestito per uscire col fidanzato, un pigiama… a dimostrazione che nessun vestito potrà mai giustificare uno stupro. E l’abito da sposa indossato da Pippa, durante il suo viaggio itinerante, ne è la testimonianza più evidente.
Inoltre le faccia merito la scelta di viaggiare in autostop, mezzo di socializzazione indistinta per razza, genere e stato sociale, con elevata percentuale di arricchimento personale e di fiducia verso i propri simili, dunque anch’essi ipoteticamente ben disposti allo scambio pacifico. Nella vita ci si espone ai pericoli in molti modi, l’importante è attuare degli accorgimenti e in questo caso si può sempre rifiutare il passaggio di persone apparentemente poco raccomandabili. Se ci pensiamo bene, la famosa società Bla Bla Car è solo un’estensione di questa modalità di viaggio e ne ha fatto un business internazionale!
Consiglio la lettura del libro “Sono innamorata di Pippa Bacca. Chiedimi perché!” di Giulia Morello ed. Castelvecchi: sono sicura che poi a molti verrà di fare l’autostop almeno una volta nella vita. (G.O.)