SEBBEN CHE SIAMO DONNE, POTERE NON ABBIAMO
Negli ultimi 30 anni il numero di donne che governano i Comuni è cresciuto più di sette volte, dicono le statistiche, ma c’è ben poco da rallegrarsi visto che la percentuale di Sindache raggiunge il suo massimo al Nord-Est con un triste 19,89% e il suo minimo sulle isole con un ancor più avvilente 9,5%.
E che, per esempio, in una città come la mia, Bologna, capoluogo di una delle regioni col maggior numero di amministratrici locali, una Sindaca non si è mai vista neanche, come si dice qui da noi, ‘col lanternino’.
E si leggono su Facebook, quando portiamo in evidenza questi numeri, commenti del tipo: “Poche ma buone”, frasi tristemente dette da altre donne, o anche, “ci sono pari possibilità, è solo questione di merito”, sempre scritto da donne. E mi offende, molto più che se lo dicesse un uomo, quando donne come me, avvallano l’idea che solo i più capaci o le più capaci vengono scelti a governare, a prescindere dal sesso, avvalorando, viste le statistiche che scrivevo prima, che siamo incapaci. Che le donne siano incapaci come genere, visto che è il nostro genere a non venir eletto. È perché non lo meritiamo, né abbiamo le capacità, che i posti di ‘potere’ non ci spettano? Ricordo che potere, deriva dal latino classico posse, che vuol dire essere capace, ma anche poter essere, in quanto composto da potis – che significa che può – e dal verbo esse, cioè essere. Potere dunque, anche se oggi ha assunto il senso di dominio, in verità significa capacità di fare qualcosa, di averne la possibilità oggettiva, significa che faremo tutto quanto è in nostro potere, ovvero… tutto quanto ci è possibile. Con “non avere il potere” intendo quindi: non avere il potere di fare, di fare nulla; il non aver potuto fare, il non essere messe in grado di operare, di non esserci, di non essere. E mi sono chiesta, andando a ritroso, quando è stato che per la prima volta una donna è riuscita a diventare sindaco? E dove?
Così ho scoperto, in un mio recente viaggio in Sardegna, in un piccolissimo “museo” a Orune, che la prima a ricoprire questo ruolo, fu Ninetta Bartoli insieme a Margherita Sanna, nel 1946, appena l’Italia fu una Repubblica. È trascorso più di mezzo secolo e ora che lo so, questa cosa mi fa ancora più specie: che in grandi città come Roma o Torino, solo recentemente si siano nominate donne a questa carica. Ninetta fu eletta a Borutta e Margherita nel comune di Orune. Proprio quella terra che la Deledda, vincitrice del premio Nobel per la letteratura nel 1926, descrisse come selvaggia e feroce, povera, analfabeta e arretrata; proprio quella terra, carica di indicibili bellezze e di molteplici contraddizioni, ha dato una sorprendente lezione di democrazia. Ninetta, che aveva potuto studiare a Sassari, nella scuola più esclusiva della città, perché la famiglia era benestante, non era donna che poteva sopportare e sottostare ai rigidi codici di comportamento dell’epoca: già in collegio nell’Istituto Figlie di Maria, non si allinea alle “regole”: lei odia le arti “femminili”, e soprattutto non vuole fare la moglie. Ha voglia di fare, di agire, di partecipare e contribuire al bene della società. Al ritorno a Bottura, sua sorella si sposa e lascia il paese. Lei resta e decide di non sposarsi. Quando viene eletta, per tutta la durata delle due «consiliature», come si chiamavano allora, ossia per circa dieci anni, realizza molte opere: le scuole elementari, l’asilo infantile, il cimitero, la casa comunale, l’acquedotto e la fognatura; e poi una cooperativa per la raccolta del latte e la produzione di formaggi, una casa di riposo, una filiale cooperativa di credito agrario. Ma soprattutto avvia una serie di iniziative in campo sociale per offrire alla donne lavori più qualificati. E restaura anche moltissimi edifici storici. Lo fa con i suoi soldi e con quelli della famiglia.
Incredibile. Non avrei mai detto che ci fossero state Sindache allora, in un’Italia in cui fino al 1° febbraio 1945 le donne non avevano diritto di voto politico. Fu solo nel ‘45 infatti che venne emanato il decreto Bonomi che conferiva il diritto di voto alle italiane che avessero almeno 21 anni. All’inizio però, il decreto Bonomi non faceva menzione della possibilità, per le donne, di essere anche votate, potevano solo votare degli uomini. A proposito di meritocrazia e capacità. A proposito di potere come possibilità di essere. Dovette trascorrere poco più di un anno prima che le donne venissero “accontentate” e potessero godere dell’eleggibilità, che veniva conferita alle italiane di almeno 25 anni d’età dal decreto n. 74 del 10 marzo 1946: da questa data in poi le donne potevano considerarsi cittadine con pieni diritti. Grazie eh!? Mentre facevamo le staffette, le partigiane, la madri o le operaie non era chiaro che i diritti dovessero essere gli stessi, solo i doveri lo erano. Vi dice qualcosa…. a più di 70 anni di distanza?
Torniamo alle nostre Sindache. Le prime elezioni amministrative alle quali le donne furono chiamate a votare si svolsero a partire dal 10 marzo 1946 in 5 turni; mentre le prime elezioni politiche (svolte assieme al Referendum istituzionale monarchia-repubblica) si tennero il 2 giugno 1946. In queste elezioni le donne esercitarono una forza elettorale maggioritaria: il 53% del corpo dei votanti.
La legge che consentiva loro sia l’elettorato attivo che passivo, cioè sia il diritto di votare che di essere elette, diede immediatamente i suoi frutti e vi furono da subito molte elette: Ninetta Bartoli ottenne già nella prima giornata di votazioni del 10 marzo l’89% delle preferenze, affermandosi subito a Sindaca del proprio paese. Caterina Tufarelli Palumbo Pisani, a soli 24 anni, fu eletta a San Sosti in provincia di Cosenza, Ada Natali il 31 marzo a Massa Fermana, Margherita Sanna a Orune il 7 aprile e anche Elena Tosetti fu eletta lo stesso giorno a Fanano, in provincia di Modena; Elsa Damiani, moglie del poeta Giacomo Prampolini, fu invece eletta, sempre nel 1946, a Spello in Umbria; Ottavia Fontana a Veronella in Veneto il 24 agosto; infine Lydia Toraldo Serra fu eletta sindaca a Tropea.
La realtà dei fatti dimostrò che, nel 1946 quando per la prima volta alle donne italiane fu data la possibilità di esprimere la propria capacità di leadership anche nell’ambito della politica locale, esse risposero con autorevolezza, determinazione, tenacia, grandissimo impegno.
Ninetta Bartoli avrebbe mantenuto l’incarico per 12 anni, Margherita Sanna per tre legislature, Ada Natali per 13 anni. Lydia Toraldo Serra restò in carica per quindici anni.
Margerita Sanna, nata ad Orune nel 1904, dopo le scuole dell’obbligo nel 1930, si diplomò in ragioneria a Sassari, ma le fu precluso, in quanto donna, di fare carriera negli istituti bancari, così nel 1935 conseguì il diploma di maestra elementare, sua autentica vocazione di vita….. A seguito di quella che visse come un’ ingiustizia “di genere”, si batté sempre per la giustizia e l’uguaglianza sociale. Donna di profonda fede, nel 1943 scontò 30 giorni di reclusione presso il carcere cagliaritano di Buoncammino, imprigionata dal regime fascista con l’accusa di essere una spia al soldo degli Inglesi. Il regime mal sopportava “quella maestra che mette i grilli dell’emancipazione alle donne”. Il ricordo della sua persona ci presenta un ruolo della donna in Barbagia che, pur all’interno di rigide logiche e dinamiche sociali, non fu subalterno a quello dell’uomo; diverso sì, ma mai sottoposto. La sua elezione a Sindaca dimostra, semmai ve ne fosse bisogno, che nelle “profonda Barbagia” le basi delle pari opportunità erano ben radicate già 70 anni fa. Direi quindi che è provato che stiamo andando indietro. Sì, perché mentre in Spagna l’esecutivo di Pedro Sánchez è composto in maggioranza da Ministre, e gli uomini sono solo 6, e spunta addirittura un’astronauta… dopo ben 70 anni, con la formazione del nostro nuovo governo, siamo indietro anni luce: 18 Ministri e solo 5 Ministre. E se Anna Kuliscioff, femminista e rivoluzionaria, ci guardasse ora cosa mai penserebbe? «Mi auguro, per il trionfo della causa del mio sesso, solo un po’ più di solidarietà fra le donne. Allora forse si avvererà la profezia del più grande scrittore del nostro secolo – Victor Hugo – che presagì alla donna quello che Gladstone presagì all’operaio: che cioè il secolo XX sarà il secolo della donna» – questo diceva. Io me lo auguro ancora.
E se le nostre Sindache del 1946 (che diedero una prova di amore civico senza pari nella complicata situazione politica e sociale del secondo dopoguerra italiano), mi sembrano oggi quasi una cosa impossibile, riescono anche a infondermi la forza di continuare a sperare e a lottare. Per noi tutte. Oggi, quello che crediamo sia più possibile e più probabile di allora, non lo è affatto. È necessario più che mai ricordare che i diritti conquistati negli anni non sono né permanenti né al sicuro.
Non addormentiamoci serene delle conquiste che altre hanno fatto per noi, convinte oggi di essere “più avanti”, perché è ovvio che lo era molto di più la Barbagia del 1946. Apriamo gli occhi invece e restiamo deste! E impariamo la lezione di generosità e dedizione che quelle prime Sindache diedero e che, molto spesso, solo il genere femminile sa dare. Anche se, e lo dico con grande tristezza, ancora molte donne non lo riconoscono. Una lezione dalla nostra terra sarda che merita di non essere dimenticata. (R.F.)
FONTI:
Associazione Nazionale dei Comuni Italiani
Ninetta Bartoli: la sindaca sardaca che sfidò tradizioni secolari di Valeria Palumbo – ilcorriere.it
Le prime sindache italiane- di Ester Rizzo Dol’s Magazine
Quando il sindaco è donna – ilcorriere.it