19/20 luglio 1848, SENECA FALLS, i Diritti delle Donne e la Dichiarazione dei Sentimenti
19/20 Luglio 1848. A Seneca Falls, negli Stati uniti, quattro donne Lucretia Mott, Elizabeth Cady Stanton, Martha Wright e Mary Ann McClintock , riunite davanti a una tazza di té, giudicano che la loro pazienza, anzi la pazienza femminile, sia giunta al limite. Così, si guardano in faccia, tirano fuori carta e penna e iniziano a scrivere un documento che è destinato a diventare uno dei pilastri del femminismo americano, anticipando il dibattito, iniziato da oltre un secolo, di richiesta per le donne di eguali diritti di cittadinanza e di valorizzazione della differenza femminile. Nasce così la «Dichiarazione dei sentimenti».
La Dichiarazione di Seneca Falls è il primo documento di carattere pubblico approvato in una convenzione sulle donne e considerato l’atto fondamentale del movimento di rivendicazione dei diritti delle donne in condizioni di uguaglianza. Spinta dalle attiviste la struttura e l’architettura della dichiarazione era ispirata, intenzionalmente alla Dichiarazione d’Indipendenza di Thomas Jefferson.
Il sentimento che in primis le muoveva intendeva «inaugurare una ribellione quale il mondo non aveva mai visto». La rivoluzione in una tazza da tè. Seneca Falls stabiliva con una prefazione che: “La storia dell’umanità è una storia di ripetuti affronti e usurpazioni da parte dell’uomo verso la donna, avviati direttamente verso la stabilità di una tirannia assoluta su di lei.”
La Dichiarazione dei sentimenti è redatta solennemente e, nella sua forza innovativa, non dimentica il precedente scritto della scrittrice Olympe De Gouges, La Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne (Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina), testo giuridico francese pubblicato nel settembre 1791 sul modello della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 proclamata il 26 agosto dello stesso anno, che esige la piena assimilazione legale, politica e sociale delle donne. È il primo documento a invocare l’uguaglianza giuridica e legale delle donne in rapporto agli uomini: l’autrice vi difende, non senza ironia sulle considerazioni dei pregiudizi maschili, la causa delle donne, scrivendo che «La donna nasce libera e ha uguali diritti all’uomo»
La riunione di Seneca Falls del 1848 rivendica gli stessi sentimenti senza tralasciare i diritti: “La storia dell’umanità è una storia di torti e di arbitrii ripetuti dell’uomo nei confronti della donna, che hanno avuto direttamente a oggetto la creazione di un’assoluta tirannia su di lei». All’uomo, in quanto genere, vanno imputati questi fatti e «in considerazione del fatto che una metà del popolo di questa nazione è privata dei diritti politici e che è socialmente religiosamente degradata – nonché in considerazione delle ingiuste leggi prima menzionate e dal momento che le donne si sentono offese, oppresse e fraudolentemente spogliate dei loro diritti più sacri, noi insistiamo che esse siano immediatamente ammesse a godere di tutti i diritti e i privilegi che appartengono loro come cittadine degli Stati Uniti».
La stessa Elisabeth Stanton, considerava il testo il vero inizio del movimento suffragista, domanda fondamentale sui diritti politici che includeva nelle sue linee, mentre sul piano giuridico difendeva la abolizione delle leggi che subordinavano la donna al marito e pianificava la battaglia per l’accesso alla educazione, specialmente quella universitaria riserva tradizionalmente vietata alla donna.
CONVENZIONE DI SENECA FALLS (1848) DICHIARAZIONE DEI SENTIMENTI
Quando, nel corso degli eventi umani, si rende necessario per una parte della famiglia umana assumere tra i popoli della terra una posizione diversa da quella occupata fino a quel momento, ma tale da essere legittimata dalle leggi naturali e divine, un giusto rispetto per le opinioni umane impone di dichiarare le ragioni che spingono in tale direzione.
Riteniamo chiare di per sé le seguenti verità: che tutti gli uomini e le donne sono stati creati uguali; che il Creatore ha attribuito loro alcuni diritti inalienabili; che tra questi sono la vita, la libertà, la ricerca della felicità; che, per garantire tali diritti, devono essere costituiti governi i cui giusti poteri derivino dal consenso di coloro che sono governati.
Ogniqualvolta una forma di governo impedisca la realizzazione di questi scopi, coloro che ne sono danneggiati hanno il diritto di rifiutare obbedienza e di adoperarsi per l’istituzione di un nuovo governo, che abbia a suo fondamento quei princìpi, e dia ai suoi poteri una organizzazione tale da sembrar loro la più adeguata a garantire loro sicurezza e felicità.
(…)
La storia del genere umano è una storia di ricorrenti offese e usurpazioni attuate dall’uomo nei confronti della donna, al diretto scopo di stabilire su di lei una tirannia assoluta. Per dimostrare ciò, esaminiamo i fatti con occhio imparziale.
Lui non le ha mai permesso di esercitare il suo inalienabile diritto al voto.
L’ha costretta a obbedire a leggi alla cui elaborazione ella non partecipava in alcun modo.
L’ha privata di quei diritti che sono riconosciuti anche al più ignorante e al più indegno degli uomini, sia indigeni che stranieri.
Avendola privata del primo diritto di un cittadino, il diritto di voto, lasciandola di conseguenza priva di rappresentanza nelle assemblee legislative, la ha oppressa sotto ogni punto di vista.
La ha posta, quando era sposata, in una condizione di morte civile davanti alla legge.
Le ha tolto ogni diritto di proprietà, perfino sul salario da lei percepito.
La ha resa, dal punto di vista morale, un essere irresponsabile, giacché ella può commettere impunemente numerosi delitti, purché si svolgano alla presenza del marito.
Nel contratto di matrimonio ella è costretta a giurare obbedienza al marito, che quindi diventa, a tutti gli effetti, il suo padrone, dal momento che la legge gli conferisce il diritto di privarla della libertà e di infliggerle punizioni.
Lui ha concepito le leggi sul divorzio, per quanto riguarda sia le ragioni valide per ottenerlo sia, in caso di separazione, la custodia dei figli, in modo tale da non tenere assolutamente in nessun conto la felicità delle donne, dal momento che la legge, in tutti i casi, si basa sul falso presupposto della supremazia dell’uomo e ripone tutto il potere nelle sue mani.
Dopo averla privata di tutti i diritti in quanto sposata, se la donna è nubile e titolare di una proprietà, le fa pagare le tasse per sostenere un governo che la riconosce soltanto nel momento in cui può trar profitto dalla sua proprietà.
Lui ha monopolizzato quasi tutti i lavori remunerativi e, da quelli a cui ha accesso, la donna trae soltanto guadagni modesti.
Le sbarra tutte le strade che consentono di diventare ricchi e di distinguersi, cose che egli per sé considera massimamente onorevoli. Come docente di teologia, di medicina, o di legge, lei non è nota.
Le ha negato ogni possibilità di ottenere una istruzione completa, dal momento che tutti i colleges sono sbarrati per lei.
La ammette nella Chiesa, come del resto nello Stato, ma soltanto in una posizionesubordinata, appellandosi alla autorità apostolica per escluderla dal ministero pastorale e, con qualche eccezione, da ogni partecipazione pubblica agli affari della Chiesa.
Lui ha creato un sentimento pubblico ipocrita stabilendo un codice morale diverso per gli uomini e per le donne, per cui le stesse colpe morali che escludono le donne dalla società sono non soltanto tollerate, ma considerate irrilevanti se commesse dagli uomini.
Ha usurpato le prerogative dello stesso Geova, arrogandosi il diritto di stabilire quale sia la sfera di attività della donna, mentre questo spetta soltanto alla coscienza e al Dio di lei.
Si è adoperato in ogni modo possibile per distruggere la fiducia di lei nelle proprie forze, per ridurne il rispetto per se stessa, e per renderla prona a una vita di dipendenza e di avvilimento.
Ora, di fronte a questa completa perdita dei diritti civili di metà del popolo di questo paese, di fronte alla sua degradazione sociale e religiosa, di fronte alle ingiuste leggi sopra ricordate, e in considerazione del fatto che le donne si sentono offese, oppresse e private in modo fraudolento dei loro diritti più sacri, dichiariamo che debbono essere immediatamente ammesse a godere di tutti i diritti e i privilegi che spettano loro in quanto cittadine degli Stati Uniti.
(…)
Essendo universalmente accettato il principio naturale fondamentale secondo cui “l’uomo deve perseguire la sua vera e sostanziale felicità” (…)
Si delibera che le leggi che, in qualunque modo, si oppongono alla vera e sostanziale felicità della donna, sono contrarie al principio naturale fondamentale e non hanno alcun valore, dal momento che esso è “più autorevole di ogni altra legge”.
Si delibera che tutte le leggi che impediscono alla donna di occupare nella società la posizione cui la destina la sua coscienza, o che la collocano in una posizione di inferiorità rispetto all’uomo, sono contrarie al principio naturale fondamentale e non hanno quindi né validità né autorità.
Si delibera che la donna è uguale all’uomo – che così il Creatore voleva che fosse, e che il bene supremo della specie esige che venga riconosciuta come tale.
Si delibera che le donne di questo paese devono essere informate in merito alle leggi che le governano, affinché non possano più rendere manifesta in futuro né la loro degradazione, col dichiararsi soddisfatte della loro attuale condizione, né la loro ignoranza, con l’affermare che godono di tutti i diritti che desiderano.
Si delibera che, dato che l’uomo, mentre rivendica la propria superiorità intellettuale, riconosce alla donna la superiorità morale, è suo dovere precipuo incoraggiarla a prendere la parola e a insegnare, quando gliene si presenti l’occasione, in tutte le assemblee religiose.
Si delibera che la stessa quantità di virtù, di delicatezza, di delicatezza nel comportamento che la società pretende dalle donne, deve essere richiesta anche all’uomo, e che le stesse trasgressioni devono essere trattate con la stessa severità, indipendentemente dal fatto che a commetterle sia un uomo o una donna.
Si delibera che l’accusa di indelicatezza e scostumatezza che così spesso viene rivolta alle donne che parlano in pubblico, è formulata, con grave incoerenza, proprio da coloro che, con la loro presenza, incoraggiano le apparizioni delle donne negli spettacoli teatrali, musicali e del circo.
Si delibera che la donna si è accontentata per troppo tempo dei ristretti confini che, costumi corrotti e una erronea applicazione delle Scritture hanno fissato per lei, e che è giunto per lei il momento di muoversi in quella più ampia sfera che il suo Creatore supremo le ha assegnato.
Si delibera che è un dovere delle donne di questo paese assicurarsi il loro sacro diritto al voto.
Si delibera che l’uguaglianza dei diritti umani deriva necessariamente dal fatto che le capacità e le responsabilità della specie umana sono identiche.
Si delibera pertanto che, avendo ricevuto dal Creatore le stesse capacità e la stessa coscienza della responsabilità di esercitarle, è un evidente diritto e dovere della donna, alla pari con l’uomo, promuovere ogni giusta causa con ogni giusto mezzo; in particolare, per quel che riguarda i grandi temi della morale e della religione, è di chiara evidenza il suo diritto a partecipare insieme ai fratelli al loro insegnamento sia in privato che in pubblico, sia con gli scritti che con i discorsi, con qualsiasi strumento opportuno e di fronte a qualsiasi pubblico.
Ed essendo questa una verità di chiara evidenza, le cui radici affondano nei principi fondamentali della natura umana, la cui origine è divina, qualunque usanza o disposizione in contrasto con essa, sia recente, sia rivestita della venerabile autorevolezza dell’antichità, deve essere considerata come una evidentissima falsità, e in conflitto con l’umanità.
Si chiederà Virgina Woolf, quasi cent’anni più tardi, dal ponte sul Tamigi, mentre guarda scorrere la «processione» dei figli degli uomini colti: «abbiamo voglia di unirci a quel corteo, oppure no? A quali condizioni ci uniremo ad esso? E, soprattutto, dove ci conduce il corteo degli uomini colti?».
E c’è da chiederselo ancora, o almeno, io esorto a farlo.
Fonti:
Seneca Falls Convention (Seneca Falls, New York, July 19-20, 1848): Declaration of Sentiments e Resolutions, in History of Woman Suffrage, vol. I, eds. by S.B. Anthony, E. Cady Stanton, M.J. Gage, Rochester, Susan B. Anthony 1881, pp. 70-72 [traduzione del 1881]