Rita e, ahimè, il fucile

Rita e, ahimè, il fucile

Rita non è solo un personaggio letterario, è anche una donna in carne e ossa, ma soprattutto un’immagine, il simbolo della eterna contrapposizione fra l’amore e la guerra.

Leggiamo in questi giorni di scontri fra palestinesi e israeliani con morti e feriti (quasi tutti fra i palestinesi). Un conflitto di quelli che si definiscono irresolubili, forse eterni, speriamo di no.

Oggi sarebbe impensabile, ma ci fu un tempo in cui gli animi non erano così sordi e inaspriti, in cui qualche speranza era possibile e fu allora che volò la poesia “Rita e il fucile”, del grande, immenso Mahmoud Darwish. Volò sulle antiche pietre di Gerusalemme, sul pescoso mare di Tel Aviv e di Gaza, sulle tende dei beduini attorno a Ramallah, sul riarso deserto del Sinai, sui kibbuz di Tiberiade. Era il 1967. Vent’anni prima erano iniziati gli scontri che portarono alla Nakba, la catastrofe, come gli arabi indicarono ed indicano tuttora l’espropriazione in massa delle case e delle terre e l’esodo forzato di più di mezzo milione di palestinesi ad opera dell’esercito israeliano.

Però un’idea di socialismo egalitario sosteneva il neonato Stato ebraico e i palestinesi non avevano compiuto stragi tanto feroci quanto inutili come quella alle Olimpiadi di Monaco. Il clima fra le parti non era dei migliori, ma ancora umano. E a volte i sentimenti prevalevano, se addirittura la futura premier Golda Meir frequentò per molto tempo un amante palestinese. Qualcosa di simile capitò al giovane poeta…

Era nato in Galilea nel 1941 e poi fuggito con la famiglia in Libano per sottrarsi alle violenze del 1948. Al ritorno, non avevano più casa né mezzi di sostentamento perché l’intero villaggio era stato raso al suolo e le terre confiscate.

Anni dopo, tutto ciò compare nell’altra più famosa poesia di Darwish, “Il Passaporto” (o “Carta di identità”, del 1964):

Scrivi, sono arabo, defraudato delle vigne dei miei avi/che coltivavo insieme ai miei figli/ a noi e ai nostri posteri non hai lasciato che queste pietre.

Con grande impegno e fatica, il giovane riuscì ad acquisire un’ottima cultura e ad iniziare la carriera giornalistica e letteraria. Il problema era che, arabo di Israele senza cittadinanza e politicamente molto attivo, stava più in prigione che fuori. Aveva preso casa ad Haifa e lì conobbe la sua musa ispiratrice, la sua indimenticata amante che chiamò a volte Rita (“Rita e il fucile”, “ll lungo inverno di Rita”), a volte Shulamit, a volte semplicemente la Straniera (“Il letto della Straniera”).

La lingua di Darwish è un arabo classico, pieno, deciso, in certi casi inasprito nella denuncia dell’oppressione. “Rita e il fucile” rimanda senz’altro a Rumi (un’assonanza è anche presente con “L’amore è uno straniero”) e a noi europei evoca l’amor cortese ed echi di Dante e Petrarca.

Quelli che conoscono Rita

s’inchinano e pregano i suoi occhi di miele divino.

Ma la passione è fisica:

Il nome di Rita, festa per le mie labbra.
Il corpo di Rita, nozze per il mio sangue.

E l’intesa fra gli amanti, perfetta.

Per due anni, mi sono perduto in lei.
Per due anni lei si è distesa sul mio braccio,
uniti nel fuoco delle nostra labbra.

Nel momento in cui il poeta scrive, però, restano soltanto la memoria e un sentimento struggente:

Ricordo Rita
come l’uccello la sua fontana.
Chi, cosa ha diviso gli amanti?
Chi avrebbe potuto sciogliere i nostri sguardi,
prima che si levasse un fucile?

E ancora:

Un milione di immagini,
un milione di uccelli,
un milione di appuntamenti
sono stati assassinati da un fucile.

I due, dunque, sono stati separati perché nei versanti opposti della guerra, la “guerra dei sei giorni”. A seguito della decisione del presidente egiziano Nasser di bloccare l’accesso al Golfo di Aqabah, nel giugno 1967 l’esercito israeliano attaccò gli stati confinanti conquistando Gaza, la Cisgiordania e il Golan, nonché una parte di Gerusalemme, configurando quella che è sostanzialmente la situazione attuale.

Ma chi era davvero Rita? In un libro del 1973 (“Diario di ordinaria tristezza”), leggiamo queste righe:

“Tra acqua e sabbia ha detto: “Ti amo”.
Tra desiderio e tormento le ho detto: “Ti amo”.
Quando l’ufficiale le ha chiesto cosa stesse facendo lì gli ha risposto: “Chi sei?”
“Tu chi sei?”
“Sono la sua ragazza, mascalzone, sono venuta a dirgli addio fino alla porta della prigione! Che volete da lui?
“Guarda che sono un ufficiale”
“Anch’io diventerò ufficiale l’anno prossimo, mascalzone!”. E gli ha esibito il foglio di leva.
Allora l’ufficiale l’ha salutata con un sorriso e mi ha strappato dalle sue braccia per sbattermi in cella.

Dunque, l’ identità di Rita comincia a intravvedersi: una ragazza israeliana, per di più una soldatessa. E’ il suo, il fucile che divide gli amanti. In una intervista del 1995, Darwish dichiarò di averla dovuta lasciare perché: “Immaginate la vostra donna che arresta i vostri compagni a Nablus o a Gerusalemme. Né il cuore né la coscienza potrebbero sopportare questa immagine.”

Qualche anno dopo egli, in quanto membro dell’OLP (l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina di Yasser Arafat), fu costretto all’esilio prima a Beirut, poi a Parigi. Da lì continuò il suo impegno a favore della pace, con una drastica condanna del terrorismo. Morì nel 2008 durante un intervento chirurgico a Huston. Da tempo soffriva di cuore e come poteva essere diversamente dopo tutto quello che aveva vissuto? La sua scomparsa e i solenni funerali con sepoltura a Ramallah rinfocolarono la curiosità sul mistero di Rita. Qualche anno dopo, la regista arabo-israeliana Ibtisam Mara’ana girò un cortometraggio intitolato: “Write down, I am an Arab!”, dalle prime parole del Passaporto, in cui, a un certo punto, Darwish dice: “La Rita che compare in tutte le mie poesie è una donna ebrea”. Presentato al festival del cinema di Tel Aviv nel 2014, il documentario suscitò grande scalpore. A quel punto, la donna immensamente amata che Darwish si era obbligato a lasciare uscì dal segreto e si presentò: Tamar Ben Ami, che all’epoca lavorava come ballerina ad Haifa. Si erano conosciuti ad un incontro del Partito Comunista Israeliano. Ed eccoli, giovani, bellissimi, innamorati, prima della guerra.

Riferimenti

Ayelet Waldman, Michel Chabon, Cenere e ulivi. Grandi autori raccontano 50 anni di occupazione a Gaza e in Cisgiordania, Rizzoli, 2017.
Selim Nassib, L’amante palestinese, ed. e/o, 2011.
Mahmoud Darwish, Il letto della straniera, ed. Epoché, 2009
Mahmoud Darwish, Una trilogia palestinese, Feltrinelli, 2017
Write down, I am an Arab! <https://www.youtube.com/watch?v=XHeJKlPAzXE>

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