Edith, Colette, Gertrude e Natalie arrivano nella sfolgorante Parigi e … tutto cambia
Tra la fine dell’800 e i primi anni del ‘900, incominciano ad arrivare a Parigi, alcune delle protagoniste di “Donne della Rive Gauche“: Edith Wharton, Colette, Gertrude Stein, Natalie Barney … che cosa le accomunava?
Ciascuna di loro si trovava a Parigi a causa di un’importante figura maschile nella sua vita. Edith Wharton era lì per sfuggire ai vincoli di un matrimonio che in definitiva Parigi avrebbe distrutto. Natalie Barney vi si era trasferita per scappare da un padre opprimente e puritano la cui morte prematura le avrebbe fornito i mezzi per portare avanti il suo espatrio. Gertrude Stein aveva seguito un fratello a Parigi nel tentativo di chiudere un’infelice relazione lesbica a New York. Colette ci si era ritrovata perché era asservita a un marito del quale era divenuta complice involontaria.
Tutte loro alla fine superarono gli ostacoli all’indipendenza e all’auto-realizzazione, separandosi psicologicamente e fisicamente dagli uomini che le stavano intrappolando, e rivolgendo le loro energie collettive verso la scrittura come mezzo di liberazione.
Colette viveva relegata in un appartamento per oltre sedici ore al giorno, da sola con la sua gatta Kiki-La-Doucette; durante il giorno scriveva lunghe lettere alla madre, che viveva ancora nel piccolo villaggio di Saint-Sauveur en Puisaye, e compose una prima stesura di Claudine a scuola, che cominciò tra il maggio e il novembre del 1894.
Il marito di Colette, Henri Gauthier-Villars, aveva tredici anni più di lei ed era un noto giornalista e critico per varie testate parigine, che scriveva dietro lo pseudonimo di “Willy”, un nome che Colette avrebbe fatto proprio per un certo periodo. Era anche un famigerato donnaiolo, e il suo fascino, lo spirito vivace e il bell’aspetto ne facevano un prediletto delle salonnières. Ogni sera, dopo avere completato le sue recensioni teatrali e musicali, portava la giovane sposa nell’elegante mondo della vita notturna proustiana. Con i lunghi capelli intrecciati intorno alla testa, gli occhi che fissavano dall’innocente viso campagnolo, Colette non era certo preparata a queste incursioni nell’haut-monde, dove la sua presenza non sarebbe mai stata tollerata non fosse stato per il fascino del marito. Coloro che la conobbero in quegli anni la ricordavano per i suoi silenzi attoniti e spesso assonnati.
Anche se Willy nutriva una tremenda gelosia per qualsiasi rapporto tra Colette e altri uomini, e si sentiva minacciato anche dalla sua amicizia con le donne, ben presto si rese conto che l’innocenza e la gioventù della moglie erano un vantaggio che poteva sfruttare per avere successo nel mondo dei salotti.
Poco a poco Colette capì come comportarsi in quelle situazioni e fu in grado di raccontare storie argute e di conversare con gente più anziana e sofisticata. Di conseguenza, entrò nelle grazie di persone che Willy non poteva permettersi di respingere. Fu così che Colette trovò un modo per sottrarsi alla protezione dispotica del marito e coltivare i rapporti con un gruppo che la sostenne nel periodo più difficile della sua vita.
Per quasi sei anni, tuttavia, Colette non svelò di essere l’autrice della serie di successo e molto redditizia delle “Claudine”. A cavallo tra i due secoli Willy era il critico musicale più influente della città. Ma la produzione assolutamente prodigiosa di Willy non era mai stata farina del suo sacco; aveva una scuderia di ghostwriter che gli preparavano il materiale. Pagava poco i suoi dipendenti, li faceva sfacchinare e teneva per sé tutti i vantaggi sociali ed economici. Nel 1894 cominciò a sfruttare le doti della moglie, e quando capì che Claudine era la beniamina di tutta Parigi, che la moglie provinciale lo stava arricchendo, la spinse a fare di più, la obbligò a scrivere più in fretta, a rendere ancora più ardite le sue trame risqué, approfittando della migliore ghostwriter che avesse mai trovato. L’innocenza e l’ingegno naturale di Colette erano esotici in un mondo assuefatto al sofisticato e al raffinato.
Nel 1906, a 33 anni, Colette lasciò Willy e si trasferì al 44 di rue de Villejust, sulla rive droite, nella zona nota come Passy. Tornata sulle scene dopo averlo lasciato, Colette iniziò una storia con la Marquise de Belbeuf (Missy) che come lei aveva chiuso un matrimonio intollerabile. Poco dopo il divorzio, la finzione letteraria di Willy venne smascherata, e alla fine sarebbe morto, malato e solo, senza il sostegno degli amici.
Quando Gertrude Stein arrivò a Parigi, nel settembre del 1903, stava compiendo i primi passi verso la sua sopravvivenza come donna. Anche se il trasferimento la costrinse a protrarre la sua dipendenza dal fratello Leo, e sebbene all’epoca fosse considerato un modo per rifugiarsi nella sicurezza di un rapporto patriarcale, le diede anche l’occasione di conoscersi. Nei suoi primi anni parigini scoprì la propria identità sessuale, le proprie doti letterarie, e avrebbe fondato – sotto l’iniziale direzione di Leo – il salotto artistico più importante della rive gauche.
Lo studio al 27 di rue de Fleurus diventò così il fulcro di nuove prospettive nelle vite degli Stein. Ben presto lo riempirono con gli sgargianti dipinti di Matisse e Cézanne e con le prospettive cubiste di Picasso e Braque. Gli esordi di una delle collezioni d’arte più vaste del Novecento furono però alquanto modesti, acquistati con i fondi che Leo e Gertrude riuscirono a risparmiare mettendo su casa insieme. Quando il fratello Michael, sul finire del 1904, li informò che sul loro conto avevano una somma inaspettata di 8000 franchi, spesero subito questo denaro nella galleria d’arte di Ambroise Vollard, acquistando due variopinti Gauguin, un paio di piccole composizioni delle Bagnanti di Cézanne, altri due Renoir, e un piccolo Maurice Denis – un dono di Vollard. In breve tempo la “collezione” avrebbe coperto praticamente ogni centimetro libero delle pareti dello studio per poi traboccare nell’adiacente pavillon di due piani.
Il salotto associato all’indirizzo in rue de Fleurus sorse quasi per caso, al pari della collezione d’arte intorno alla quale ruotava nei primi tempi. Nacque con alcuni amici, spesso gli artisti che avevano dipinto le opere esposte alle pareti. Si espanse fino a includere praticamente tutti coloro che al sabato sera bussavano all’imponente porta a due battenti. In genere Gertrude Stein domandava al visitatore: «De la part de qui venez-vous?», ma di rado respingeva chi non offriva un referente o una presentazione.
Non era necessario parlare francese in queste serate. E di certo non serviva “agghindarsi”, dato che Gertrude e Leo erano vestiti comodamente con due vestaglie identiche di velluto marrone a coste e sandali di cuoio realizzati per loro da Raymond Duncan, che viveva dall’altro lato del cortile. Gertrude tendeva a stare accovacciata, anziché sedersi su una bassa poltrona Rinascimento, mentre Leo faceva su e giù per lo studio parlando e fumando. Lì si aveva la certezza di imbattersi in opere d’arte anticonvenzionali e controverse, e nei rispettivi artisti che erano al contempo meno e più anticonvenzionali delle loro tele. Tra gli ospiti figuravano spesso Matisse e la moglie (che gli faceva da modella), Picasso e Fernande Olivier (sua compagna e modella) e Georges Braque, oltre ai poeti Max Jacob e Guillaume Apollinaire accompagnato dall’amante, la pittrice Marie Laurencin.
Pertanto, l’esperienza di Gertrude come salonnière era lontanissima da quella di Edith Wharton o Natalie Barney, anche se le carriere di Stein e Barney avrebbero finito per coincidere. Queste tre donne non condividevano la stessa Parigi, pur vivendo a poca distanza tra loro. Non condividevano nemmeno la stessa epoca: Wharton apparteneva totalmente all’Ottocento, sebbene avesse trascorso trentasette anni della sua vita nel secolo successivo. Barney, che visse nel Novecento per settantadue anni, rimase legata ai bagliori residui della fin de siècle. Gertrude Stein era saldamente ancorata al Novecento e non nutriva il minimo interesse per qualsiasi cosa che non fosse il “presente continuo”.
Le analogie e le differenze fra queste tre donne sono sorprendenti. Due di loro erano ricche – Wharton e Barney avevano un patrimonio sufficiente a mantenere i loro stili di vita esosi a Parigi. Pur essendo di gran lunga la più benestante tra le due, Barney conduceva una vita alquanto modesta. Wharton, che continuava a ricevere le cospicue royalties delle sue opere, ostentava la sua ricchezza spendendo grandi somme in abiti, case spaziose e frequenti viaggi. Barney aveva uno o due inservienti nella sua casetta in rue Jacob; Wharton ne aveva sei nel suo appartamento al secondo piano in rue de Varenne.
Natalie Barney, che aveva 26 anni quando arrivò a Parigi nel 1902, condivideva le aspirazioni di Wharton: stava cercando un’atmosfera stimolante sul piano intellettuale; voleva inserirsi nella tradizione culturale europea; sperava di portare avanti le sue attività letterarie e si esercitava a scrivere componimenti alla maniera francese; era decisa a ritagliarsi un posto tra i francesi a Parigi. Edith Wharton voleva essere accettata da una società che era un luogo separato e impenetrabile sulla rive gauche parigina.
Queste due donne trovarono una collocazione in città, scoprendo cerchie sociali sovrapposte. Evitavano la compagnia dell’altra, condividendo alcune conoscenze senza mai incontrarsi di persona. Per Edith Wharton sarebbe stato impensabile essere amica di una donna come Barney, quasi sicuramente a causa della sua esuberanza sessuale. L’“indole privata” di Natalie Barney era senza dubbio troppo poco ortodossa e troppo pubblica per Edith Wharton.
Natalie Barney era bella ma trasandata; Edith Wharton non era bella ma vestiva sempre con eleganza. Barney aveva una personalità cordiale, aperta e ospitale; i modi di Wharton erano spesso freddi e riservati, l’apparente conseguenza di un’estrema timidezza. Viveva in case progettate alla perfezione, con arredi artistici e giardini allestiti alla maniera settecentesca. Le case affittate da Barney erano tetre, arredate con mobili che la madre non riteneva valessero il trasporto in America, ingombre di cianfrusaglie, i giardini trascurati e infestati di erbacce.
Wharton amava le automobili veloci con cui viaggiava in tutta la Francia. Barney aveva una carrozza chiusa trainata da cavalli, e fu infastidita il giorno – molto dopo la Seconda guerra mondiale – in cui si vide costretta ad acquistare un’automobile. Se Wharton apparteneva al mondo di Henry James, Barney apparteneva a quello di Marcel Proust. Nonostante questo, con il passare degli anni le due donne cominciarono a essere sempre più simili, rappresentanti di un’epoca relegata al passato.
Anche se Natalie Barney non trovò un posto per sé nel Faubourg, di certo seppe attirare nel proprio salotto tutti i più importanti scrittori francesi del periodo (compresi André Gide, Jean Cocteau – che era amico intimo anche di Colette – Paul Valéry e la stessa Colette). Il suo era un salotto inconsueto poiché mescolava liberamente la comunità francese e quella americana. Forse il suo più grande contributo alla vita intellettuale della rive gauche fu proprio questa sua determinazione a fare incontrare i due gruppi sul terreno neutro del suo salotto. Pound era un ospite assiduo, al pari di Ford Madox Ford, Carl Van Vechten, Sherwood Anderson, Thornton Wilder, Edith Sitwell, Romaine Brooks, Dolly Wilde, Janet Flanner, Solita Solano, Esther Murphy, Djuna Barnes e molti altri. Barney era una convinta sostenitrice delle scrittrici, e spesso organizzava incontri per sole donne in modo da consentire a una nuova autrice di leggere la sua opera a un pubblico solidale.
Se Barney riuscì a raggiungere solo i margini dell’enclave aristocratica del Faubourg, collocandosi lungo il confine, Gertrude Stein non si sforzò nemmeno di raggiungerlo. Non aveva nessuna delle qualità richieste per entrare in questa società. Non proveniva da una famiglia americana di ceto elevato. Era ebrea. Pur essendo istruita, non era ricca. Non arrivò a Parigi con lettere di presentazione per figure influenti, e nell’autunno del 1903 non aveva ancora preso la decisione di dirigere un salotto artistico. Il ruolo che si ritagliò in città si sviluppò per caso, cogliendola quasi di sorpresa. Quando lo ebbe trovato, però, ne esercitò il potere con immenso diletto. Come Edith Wharton, anche lei si trovava a Parigi perché era sola e cercava una vita più ricca e libera da impedimenti. Come Natalie Barney trovò in Parigi un ambiente che le avrebbe permesso di dare libero sfogo al suo amore per le donne e di fare del proprio lesbismo un tema narrativo.
Se per certi versi Wharton e Barney portarono con sé nel Novecento tutti i gravami del secolo precedente, l’obiettivo di Stein era creare una nuova epoca. Per lei l’America del Novecento era ricca di potenziale, ma era necessaria Parigi per svilupparlo.
Il testo è stato tratto da Shari Benstock, Donne della Rive Gauche – Parigi 1900-1940, Somara!Edizioni – Traduzione di Manuela Faimali