Ada Pace, una donna a tutto gas!
Nella seconda metà degli anni ’80, quando finalmente entrai in contatto col mondo femminista della mia città, le donne che incontravo e che di professione facevano le storiche erano in grande fermento: il femminismo aveva scoperto la storia femminile e dato dignità agli studi sulle donne nel passato. Una storia lungamente ignorata o negata dalla storiografia ufficiale, fatta per lo più da uomini, con la pretesa che non esistessero documenti a corroborarla. Da allora le storiche femministe di tutto il mondo hanno dimostrato la ricchezza delle fonti trovate e hanno costruito un notevole patrimonio di storia femminile a disposizione di tutte. E tuttavia la memoria femminile è ancora così nuova e poco circolante nel discorso comune che ci sorprendiamo quando per caso scopriamo donne la cui esistenza non avremmo mai immaginato! È il sentimento che mi ha colta quando ho sentito raccontare dalla mia amica Patti Andreoli la storia di Ada Pace, una biografia in eclatante controtendenza con la mistica sociale del ruolo delle donne negli anni ’50.
Ada Pace nasce a Torino nel 1924. Fin da giovanissima pratica a livello agonistico la pallacanestro, l’atletica e il tiro a segno. Subito dopo la guerra scopre l’ebbrezza della velocità in sella alla Vespa e partecipa alle gare organizzate dal Vespa Club nel 1947 e ’48. Per la Piaggio, che la volle ufficialmente in squadra, gareggiò tra l’altro nella 6 Giorni e nella Mille Miglia con buoni risultati. Con la Vespa vinse il Trofeo Gincane per tre anni, nel 1953, ’54 e ’56. Dal 1950 inizia a partecipare alle gare automobilistiche, con vetture non competitive e scarsi risultati. Finché nel 1951 corre la Torino-San Remo a bordo di una Fiat 1500 6C, finalmente una macchina adeguata, e vince contro ogni pronostico, provocando il panico degli organizzatori e della sua famiglia. Una vincitrice donna non era prevista dal regolamento, e la direzione di gara non sapeva come accoglierla; inoltre la famiglia era restia a mandarla da sola in mezzo a quella bolgia di uomini. Alla fine fu accolta con un mazzo di fiori e la madre sedette accanto a lei sull’automobile che la portava al podio.
Gara dopo gara, Ada Pace diventa una testa di serie, e molti colleghi maschi non sopportano di essere battuti da lei. Ogni volta che sale sul podio viene sommersa dai reclami ufficiali dei piloti giunti dopo di lei, che in un caso sfociarono in un procedimento giudiziario. Finché in una gara del 1957 il commissario tecnico, stanco dei continui reclami, decide di sottoporre a controllo, oltre alla vettura di Ada, anche quelle del secondo e terzo classificato: il clamoroso risultato fu che la prima era regolare e gli altri due vennero squalificati! Una beffa meravigliosa per l’arroganza maschile!
Al circuito di Modena, dove vinse nel 1960, i due piloti giunti dopo di lei si rifiutarono di salire sul podio, per non figurare in posizione inferiore a quella di una donna! Ma Ada, col suo sorriso mite, reagiva a questi comportamenti irrispettosi in modo divertente: sul retro della sua macchina, al posto della targa, metteva la scritta Sayonara (“arrivederci” in giapponese), in modo che il sorpassato di turno capisse che si sarebbero rivisti solo dopo il traguardo! La sua mancanza di soggezione rispetto al mondo maschile dell’automobilismo e la baldanza della sua fiducia nella propria bravura erano stupefacenti. E Sayonara divenne lo pseudonimo ufficiale con cui si iscriveva anche alle gare.
A poco a poco Ada Pace cominciò ad essere riconosciuta e stimata: il suo talento fu apprezzato da personaggi come Enzo Ferrari e i fratelli Maserati. Tuttavia, per non concederle l’appellativo di pilota, veniva chiamata corridrice, riesumando un termine desueto della lingua italiana.
Durante l’ultima Mille Miglia del 1957 uscì di strada, andando a sbattere contro un albero e perdendo una portiera nell’urto. Il commissario di percorso che la soccorre si dichiara incompetente a decidere di farla ripartire, come lei vorrebbe, demandando la decisione al vicino posto di controllo: che però si trova al di là di un fiume, nelle cui acque gelide Ada si tuffa per raggiungere la postazione a nuoto! Un’altra prova straordinaria del suo carattere indomito e del suo coraggio non comune si ebbe alla 12 ore di Monza del 1961, dove la sua Giulietta cedette improvvisamente, decollando in aria e ricadendo a ruote all’insu. I soccorsi erano lontani, Ada era intrappolata nella vettura capovolta, con le portiere bloccate e la benzina che filtrava nell’abitacolo, ma non si perse d’animo: strisciò sul sedile posteriore, ruppe il lunotto con il gomito e corse fuori mettendosi al riparo, appena in tempo per vedere la sua macchina incendiarsi.
Oltre a una vita agonistica ricca di successi e di vicende rocambolesche non mancarono ad Ada Pace le tragedie personali: nel 1961, durante le prove sul circuito di Modena, Ada assistette all’incidente in cui perse la vita il suo fidanzato, anch’egli pilota, e da allora durante le gare indossò sempre il casco rosso che lui le aveva regalato poche settimane prima.
Quando vengo a conoscere storie del genere, rimango sempre molto colpita da queste donne che da sole, in ambienti a loro ostili, prima della rinascita del femminismo negli anni “60, sono riuscite a vivere in modo libero e a fare quello che volevano, infischiandosene del sabotaggio e del disprezzo maschile: mi sembrano dotate di una forza prodigiosa. Forse sono loro che hanno tenuto annodato il filo della libertà femminile nei momenti in cui l’organizzazione sociale cercava maggiormente di reprimerla. La comparsa e il riaffermarsi delle istanze femminili come movimento politico-sociale ha certamente provveduto a disegnare un orizzonte comune che ci aiuta ad osare e nei nostri percorsi ci fa sentire legate ad altre donne in tutto il mondo. Ma mi piace pensare che in qualche modo sotterraneo e miracoloso il coraggio e l’allegria di queste antesignane possa raggiungerci e sostenerci nell’affrontare i difficili tempi che ci aspettano. (C.S.)