Addio my Fair Lady!
Accompagnando al cinema il mio fidanzato, grande appassionato di fumetti, ho iniziato di mala voglia a vedere i nuovi filoni di film che raccontano le saghe dei vari supereroi. Confesso con piacere che hanno ben presto smantellato la mia diffidenza e i miei pregiudizi: oltre che coinvolgenti sotto il profilo dell’azione, quando sono ben fatti risultano suggestivi anche per la loro portata simbolica, la capacità di restituirci fedelmente i mutamenti, le paure e i sogni del nostro mondo presente.
È questo certamente il caso di Captain Marvel, ultimo uscito dall’omonima casa, nelle sale italiane da pochissimi giorni, scritto e diretto da Anna Boden e Ryan Fleck. Il film si avvale di un quartetto di sceneggiatori, equamente ripartiti tra uomini e donne, fatto che, come si vedrà, ha avuto certamente risultati determinanti. È il ventunesimo prodotto dai Marvel Studios e il primo in assoluto con una protagonista femminile.
Come sempre, i superpoteri della nostra eroina hanno a che fare con un passato oscuro, in questo caso, anzi, da lei completamente dimenticato; e con i conflitti interiori causati da una misteriosa parte di sé, ricercata con urgenza ma che deve ancora emergere. In questo modo i supereroi non solo riattualizzano la crescita e la formazione degli esseri umani, e nei decenni hanno sicuramente alleviato il tormento di milioni di adolescenti; ma ripropongono costantemente la grande scoperta dell’inconscio: rischiano sempre di essere posseduti dai loro poteri e per usarli felicemente devono sottoporsi a un faticoso e doloroso, ma assolutamente inevitabile, lavoro su se stessi.
Dunque la giovane Vers, la nostra protagonista, è una Kree, popolo di un impero galattico impegnato in una guerra perpetua per difendersi dai nemici Skrull, indicati come terribili distruttori. Vers, che in seguito a un incidente traumatico non ricorda nulla del suo passato ed è dotata di enormi superpoteri, viene allenata dal suo mentore, il comandante Yon-Rogg (affidato al fascino maturo di Jude Law), figura carismatica che le insegna a combattere e si atteggia a suo pedagogo, esortandola a tenere i suoi poteri sotto controllo e ad usarli in minima parte. Durante una missione viene fatta prigioniera dagli Skrull e da loro sottoposta a un invasivo interrogatorio mentale, grazie al quale cominciano a rivelarsi alcuni indizi del suo passato. Gli Skrull stanno cercando un motore a velocità della luce nascosto non si sa su quale pianeta e sono convinti che Vers ne sappia qualcosa. Riuscita a liberarsi grazie ai suoi poteri, dopo una battaglia con i suoi inseguitori precipita sul pianeta dove è nascosto il motore cercato dagli Skrull, la Terra del 1995. Con varie peripezie, Vers riesce a convincere delle sue buone ragioni Nick Fury, un agente dello S.H.I.E.L.D., l’organizzazione terrestre deputata ai rapporti con gli alieni: se gli Skrull entreranno in possesso di quel motore conquisteranno tutto l’universo! Fury la conduce nella base militare Pegasus, dove probabilmente sono nascoste informazioni sul motore alieno…
Qui, con un autentico colpo di scena tipico del genere, la vicenda si ribalta e acquista il suo senso imprevisto: le vere origini di Vers le erano state celate, lei non è una Kree, bensì una terrestre di nome Carol Danvers, una donna degli anni ’90. Legata da un fortissimo rapporto all’amica Maria Rambeau, insieme volevano essere piloti dell’aviazione militare statunitense e affrontavano tutti gli ostacoli posti alle donne in quell’ambiente e l’ostilità e la derisione dei piloti maschi. E la sua vera maestra era la dottoressa Wendy Lawson, l’inventrice del motore a velocità della luce. Gli Skrull, poi, si svelano essere non i nemici invasori bensì il popolo oppresso dall’imperialismo militare e guerrafondaio dei Kree, che li hanno scacciati da tutti i loro pianeti e ridotti alla fame. La dottoressa Lawson era una Kree che aveva deciso di disertare per far cessare quella guerra infinita ed ingiusta: con il suo motore gli Skrull avrebbero potuto andarsene lontano alla ricerca di una nuova casa. Ma l’aereo che trasportava il reattore, con a bordo la dottoressa Lawson e pilotato dalla stessa Carol, era stato abbattuto dai Kree. Il loro capo Yon-Rogg aveva ucciso la dottoressa, che prima di morire aveva esortato Carol a distruggere il reattore per non farlo cadere nelle mani dei Kree. Investita dalle radiazioni della tremenda esplosione, Carol ne aveva assorbito i superpoteri ed era stata portata via dai Kree per essere usata come arma: cancellando la sua memoria e donandole il suo sangue Yon-Rogg aveva cercato di farne una sua creatura.
Ma i tempi di My Fair Lady sono lontani: se nel 1964 Audrey Hepburn, rozza ragazza del popolo rieducata a diventare una perfetta signora upper class dal pigmalionico Rex Harrison, otteneva l’approvazione dell’alta società e si innamorava del suo educatore, qui le cose vanno in modo molto diverso.
Nel duello finale con Yon-Rogg, quando i’ex maestro cerca provocatoriamente di ricordarle i suoi insegnamenti (“solo quando mi batterai senza usare i tuoi poteri sarai una vera guerriera”) e il fatto che dentro di lei scorre il suo sangue, Carol lo abbatte senza esitare, scatenando tutta la furia dei suoi superpoteri e, torreggiando su di lui steso a terra, pronuncia la frase fatale: “io a te non devo dimostrare nulla!”.
Gli uomini che insegnano alle donne come diventare vere donne attraverso la moderazione del loro essere e delle loro qualità, hanno perduto definitivamente il loro appeal! Una scena emozionante e cruciale, che sancisce un cambiamento assimilato e dal quale non si torna indietro. Al ritornello maschile secondo il quale per vincere bisogna reprimere le proprie emozioni, Carol risponde facendo appello ad esse ed esplodendo in tutta la sua rabbia supereroica.
Ritroverà poi la sua casa e la sua vita nel rapporto con l’amica Maria e la sua deliziosa figlia, che era stata la prima a riconoscerla chiamandola “zia Carol”; e nell’impegno a proseguire il progetto della dottoressa Lawson: far cessare la guerra.
I supereroi maschi erano nati negli Stati Uniti degli anni ’40 sotto forma di fumetti, e indubbiamente servirono a infondere fiducia nell’orizzonte incerto del secondo conflitto mondiale, di fronte al rischio di un cambiamento terrificante dell’ordine politico del mondo. La loro ripresa nei decenni più recenti ci ha consolato dalla frustrazione dell’impotenza individuale sperimentata da ognuna e ognuno di noi nel contesto delle democrazie avanzate.
Ma il sogno della pace, della salvezza del pianeta può nel presente essere affidato solo a una genealogia femminile: per la prima volta il supereroe della Marvel è una donna, e non una supereroina solitaria, ma una che trova le sue radici nel rapporto con le altre.
Io appartengo alla schiera degli scettici sulle possibilità di sopravvivenza di questo pianeta… ma continuiamo a osservare il cielo, non si sa mai… (C.S.)