Rosalind Franklin: la grande rapina andò così
Questa è la storia di una delle più grandi rapine del XX° secolo. Una rapina compiuta da uomini ai danni di una donna. Cosa nient’affatto strana o straordinaria, perché riconoscere merito alle donne era, ed è ancora oggi, davvero cosa rara. È la storia di tre uomini che si approfittarono del prodotto di una grande mente, e che ebbero successo, fama e denaro grazie alla fatica e agli studi di una collega donna; collega donna che oscurarono, derisero, nascosero e derubarono, e alla quale mai riconobbero il merito delle sue ricerche. Mai, finché fu in vita, le attribuirono e le riconobbero il genio che era.
La donna di cui parlo è Rosalind Franklin, ricercatrice che nacque a Kensington (Londra) nel 1920 da una ricca e colta famiglia ebraica. Dopo aver ottenuto il diploma di istruzione primaria, iniziò a frequentare la scuola superiore, dove poté concentrarsi sulle discipline che più la interessavano: chimica, fisica e matematica, pura e applicata. A sedici anni aveva infatti le idee già molto chiare: avrebbe fatto la scienziata. Aveva un carattere forte e molto determinato, ma era molto introversa: sapeva bene che non le sarebbe stato facile, perché era una donna ed era ben consapevole dei limiti che questo avrebbe rappresentato nell’ambiente da cui proveniva. Si laureò a Cambridge in chimica e fisica nel 1941, col massimo dei voti, e incentrò la sua carriera sugli studi del carbonio e in quelli di biofisica.
Rosalind era dotata di un’incredibile abilità nella fotografia a raggi X. Dopo aver studiato e lavorato a Parigi diversi anni, nel gennaio 1951, iniziò a lavorare come ricercatrice associata al King’s College. Ma essere una donna ed essere ebrea, seppur indiscutibilmente molto intelligente, ricca e dotata di una robusta coscienza politica, non le fu assolutamente d’aiuto nell’ambiente estremamente maschilista della scienza di allora. D’altronde ancora oggi in Italia nei convegni scientifici in cui si parla della cura dell’ infertilità, della salute della donna e della maternità – scrivono ginecologhe, embriologhe e biologhe con cattedre universitarie – sono invitate come relatrici 3 donne e 21 uomini. Non stupirà quindi la storia della rapina che questi uomini fecero a questa donna e studiosa eccezionale.
Rosalind lavorò per 27 mesi nel dipartimento di biofisica del King’s College, quando il dipartimento era diretto da Maurice Wilkins. In quel periodo il suo gruppo di studi, cui appartenevano anche i colleghi Watson e Crick e lo stesso Wilkins, era in gara nello studio del DNA con altri gruppi di ricerca. Wilkins si lamentava continuamente di Rosalind con Watson e Crick, perché secondo lui Rosalind intralciava il suo lavoro. La relazione professionale tra i due era proprio partita col piede sbagliato: Wilkins pensava che la sua collaboratrice, benché brillante biochimica e genetista, fosse per lui non più di un’assistente. Non la trattava assolutamente come una sua pari. Rosalind che era una ricercatrice autonoma, in grado di condurre un progetto e un gruppo di ricerca da sola, detestava questo atteggiamento. Così le rimproveravano che “non sapesse fare squadra”. Ma in una squadra l’atteggiamento dei diversi membri non dovrebbe essere di rispetto per i compagni? Già, ma questo non valeva ovviamente per le compagne! Non era facile cambiare la mentalità di un ambiente professionale non allenato a stare insieme a donne in laboratorio, e certo le angolosità del carattere di Rosalind non l’aiutarono sicuramente. Ma se quelle angolosità fossero state di un collega uomo, il premio Nobel che arrivò, l’avrebbero certamente vinto in 4, non in 3 come avvenne.
Anzi, a pensarci bene, se fosse stata un uomo forse l’avrebbe vinto lei sola. Dai carteggi privati che i suoi tre “compagni” si scambiarono nel corso degli anni si legge che Rosalind veniva chiamata poco simpaticamente “dark lady”. Watson la chiamava “la terribile e bisbetica Rosy”, descrivendola come una donna non attraente, dal carattere pessimo e molto gelosa del proprio lavoro, una che trattava gli uomini come ragazzini cattivi e che vestiva da liceale.
Perché? Perché la sua vita era solitaria, fatta di studio, studio e ancora studio.
Ma torniamo indietro. Franklin era una sperimentatrice precisa e meticolosa e utilizzando la sua abilità fotografica, applicò il metodo della diffrazione a raggi X, ottenendo delle foto del DNA mirabili per nitidezza. Foto così fino ad allora mai viste! Queste le consentirono l’accesso a una vastissima quantità d’informazioni. Fu questo il suo metodo: approfondire, limare, perfezionare nella continua ricerca della bellezza, perché sapeva che è solo nelle cose davvero belle che può trovarsi la verità.
Queste sono le parole che Rosalind Franklin, ancora studentessa a Cambridge, scriveva al proprio padre. “Tu consideri la scienza (o per lo meno così ne parli) come una sorta di invenzione umana lesiva della morale ed estranea alla vita reale, un’invenzione che va tenuta sotto controllo e collocata fuori della vita quotidiana. Ma la scienza e la vita quotidiana non possono e non dovrebbero essere separate. Per me la scienza fornisce una parziale spiegazione della vita. Per quanto è possibile, la scienza è basata sui fatti, sull’esperienza e la sperimentazione… Sono d’accordo che la fede sia essenziale per riuscire nella vita… Dal mio punto di vista, la fede sta nella convinzione che, facendo del nostro meglio, ci avvicineremo di più all’obiettivo e che l’obiettivo (il miglioramento di tutto il genere umano, presente e futuro) sia un bene degno di essere perseguito.”
Fu grazie alle foto di questa “dark lady”, che Watson, Crick e Wilkins arrivarono alla scoperta che avrebbe rivoluzionato la scienza del XX° secolo, e ci arrivarono rubandole letteralmente la famosa “fotografia 51”.
Questa foto, che Rosalind custodiva gelosamente nei suoi cassetti del laboratorio, è la prima foto mai fatta delle due forme idratate dell’acido desossiribonucleico, con cui si comprese che la struttura del DNA veniva descritta meglio da una doppia elica di nucleotidi, che non da un singolo filamento. Ma i suoi misogini collaboratori, mostrando la foto di Rosalind, non la nominarono neppure: il 25 aprile 1953 James Watson e Francis Crick, attraverso un articolo pubblicato sulla rivista Nature, annunciarono al mondo la scoperta della doppia elica del DNA. Ma come giunse la radiografia della forma B del DNA (la numero 51) di Rosalind nelle mani dei futuri premi Nobel? Grazie a Wilkins, che frugò tra le cose di Rosalind e prese la fotografia senza consenso della proprietaria. Ovvio, perché la prelevò senza dirglielo. Le rubò la foto! Poi la mostrò ai colleghi. Parlare di “furto” non è affatto eccessivo credetemi, ormai è su tutti i libri, le cose andarono proprio ccosì. Grazie alla fotografia 51 , e alle conoscenze in loro possesso Watson e Crick arrivarono alla scoperta che sarebbe valsa loro il premio Nobel nel 1962, scoperta a cui probabilmente Rosalind sarebbe arrivata da sola in breve tempo, esattamente come fecero loro. Per noi oggi la doppia elica è un dato di fatto, ma allora era come affermare che la terra fosse rotonda quando per secoli si era pensato fosse piatta! Nel febbraio del 1953, sul suo taccuino Franklin scrisse che “Il DNA è composto da due catene distinte”. Nel marzo dello stesso anno, Rosalind, benché fosse circondata da collaboratori e colleghi che la stimavano profondamente e ne riconoscevano il valore intellettuale, soffrendo troppo per l’ostilità dell’ambiente scientifico in cui viveva, lasciò il King’s College di Londra per trasferirsi a Birkbeck, un’altra università londinese diretta dall’illustre fisico John Desmond Bernal. La “dark lady” abbandonò quindi i laboratori di Cambridge poche settimane prima che Watson e Crick facessero il loro annuncio. Purtroppo la scienziata non venne mai a sapere che quella scoperta, a cui lei aveva contribuito in modo fondamentale, sarebbe valsa il premio Nobel a Watson, Crick e Wilkins, poiché morì nel 1958, quattro anni prima, a soli 38 anni stroncata da un cancro alle ovaie, probabilmente per essersi sottoposta a tutti quei raggi X durante i suoi studi.
Il nome della Franklin ha iniziato a essere noto dopo la pubblicazione del libro di Watson, “La doppia elica” pubblicato nel 1968. Nel libro, Watson fa una descrizione molto poco lusinghiera della scienziata, definendola come un ‘intellettualoide molto irascibile e poco femminile”.
Mary Ellmann, scrittrice e critica letteraria , nota particolarmente per il suo libro Thinking About Women cioè “Riflessioni sulle donne” (pubblicato nel 1968 nello stesso anno del testo di Watson) accusò “La doppia elica” di misoginia. Il saggio di Ellmann è considerato come uno dei due “testi significativi” nella prima teoria femminista. Su The Yale Review la scrittice affermò che Watson aveva la pretesa di rappresentare “lo scienziato come essere umano, alle prese con i geni al mattino e con le donne la sera”. Ellman scrive: “l’unica contraddizione in questo equilibrio perfetto è costituita da Rosalind Franklin, la donna capace di studiare il DNA come un uomo. Perché mai non si è accontentata di fare l’assistente di Wilkins (e, per suo tramite, di Crick e Watson)?” A partire dalla pubblicazione di questo libro, Rosalind Franklin è diventata un simbolo femminista, la donna che ha visto negato il riconoscimento del suo talento per dare maggiore gloria ai suoi colleghi uomini. In realtà questa sorta di mitizzazione non le rende giustizia: Franklin viene sempre ricordata di più come una delle scienziate a cui venne negato il Nobel in quanto donna, mentre va in secondo piano tutto il faticoso lavoro e i brillanti risultati che raggiunse nella sua feconda seppur breve vita. Per onor di cronaca, quando si dice meglio tardi che mai, un tardivo riconoscimento le venne dato nel 1998. Alla faccia del tardivo. Ci hanno messo solo 36 anni, non male, complimenti.
La foto di Rosalind Franklin fu collocata accanto a quella dei colleghi vincitori del Nobel alla National Portrait Gallery di Londra.