Quando non ci chiudono nel gineceo
Questo pezzo di storia al femminile mi mancava, tanto che ho deciso di raccontarvela.
Tra il 756 a.C. ed il 743 a.C., i Greci approdarono a Rhegion, attuale Reggio Calabria, e a Zancle, che diventerà poi Messina. In seguito furono fondate: Sybaris (Sibari) e poi Kroton (Crotone), Krimisa (odierna Cirò Superiore), Petelia (odierna Strongoli), Makalla (zona Murge di Strongoli), Chone (odierna Pallagorio) e Lokroi Epizephyroi (Locri Epizefiri). Et voilà, in men che non si dica ecco la Magna Grecia e le sue colonie. I colonizzatori fondarono a loro volta delle sub colonie: Vibo Valentia, Paestum, Gioia Tauro e tante altre.
In questo periodo storico, ricco e prospero per la Grecia, molte donne (più che molte, ben più di quante ne immaginiamo o conosciamo) furono protagoniste nell’esercizio del sapere anche se, ovviamente, questo restava predominio dell’uomo in quanto maschio. Ma non a Crotone! Kroton fu per la Magna Grecia, come la Salerno dell’XI secolo fu per Trotula la medichessa. Un luogo in cui sorse una scuola dove delle donne praticavano e diffondevano il sapere, a dispetto dell’habitus sociale e dominante. Una scuola in cui studiarono e insegnarono donne sapienti alcune delle quali non rinunciarono per questo ad essere custodi del focolare mentre altre ne rimasero ben lontane. A pieno e riconosciuto diritto.
A Krotone nasce infatti una scuola pitagorica (che aprì poi anche a Reggio Calabria) in cui Cultura, Filosofia, Scienza e Sapienza appartenevano al genere maschile quanto a quello femminile. Il fondatore fu ovviamente Pitagora, che giunse a Crotone praticamente anziano, considerata l’aspettativa media di vita in Grecia che, tra mortalità infantile, guerre e malattie era di 20 anni circa. Era il 530 a.C. e Pitagora aveva allora 40 anni. La sua scuola di pensiero diventerà presidio di un intenso fermento politico e culturale e erediterà dal suo fondatore la dimensione misterica, insieme all’interesse per la matematica, l’astronomia, la musica e la filosofia. Una scuola che passerà alla storia. Come accadde? Forse per il fatto che l’insegnante di Pitagora fosse stata proprio una donna?
Fu infatti Temistocle di Delfi, la sacerdotessa del tempio, a essere una delle sue principali guide erudite. La scuola pitagorica, già in Grecia, era aperta a tutti, uomini e donne. E anche quando sbarcò in Italia tra il VI e il V secolo a.C., le sue regole non cambiarono. Non lo sapevo. Perché a scuola quando ho studiato la Magna Grecia nessuno me lo disse? Nella vita mi sarebbe molto servito. A tutte noi. L’ho imparato da poco, e da sola, che Pitagora, con la sua visione di sapere aperto a tutti, senza distinzione di genere, ispirò un’etica di una parità autentica che all’epoca era sconosciuta anche ad Atene (e in molti casi ancor oggi). Non ho dubbi che l’apprese a Delfi, dalla sacerdotessa Temistoclea. Pitagora promulgava un sistema meritocratico senza differenza tra greci e non greci, tra uomini e donne, in cui ogni essere maschile o femminile che fosse, avesse accesso alla conoscenza. Con una normalità straordinaria. La scuola pitagorica di Crotone ospitò ben 27 filosofe che fecero parte della comunità, e condivisero con gli uomini lo stesso stile di vita e le riflessioni filosofico-scientifiche.
Alla morte del filosofo fondatore, la scuola fu guidata dalla moglie Teanò, che portò avanti il suo pensiero, e dalla figlia Damo, alla quale Pitagora affidò i suoi scritti alla sua morte. Furono tante le donne che animarono la scuola pitagorica, segnando una svolta senza precedenti. Teanò nella tradizione filosofica è diventata l’emblema della donna sapiente, ma insieme fedele e ligia ai suoi doveri, attorno a cui si consolida la famiglia. Era una donna autorevole, un pilastro della cerchia pitagorica, formatrice e animatrice dell’ “adunanza” (syllogos) delle donne della città. Era stimata per la sua intelligenza e la sua sapienza. Anche se qualche storico sollevò dubbi sul fatto che fosse la moglie di Brontino da Metaponto piuttosto che di Pitagora. La tesi maggiormente accreditata è quella secondo la quale esistettero due donne con questo nome, una moglie e poi direttrice della scuola di Pitagora, l’altra sua discepola. Parliamo di 2500 anni fa e molte fonti sono andate perdute. Pare che Pitagora abbia avuto con lei tre figlie: Myia, Damo e Arignote e due figli. Le tre donne furono tutte filosofe. Anche se ovviamente pure su di loro esistono alcune fonti che le definiscono figlie, mentre altre discepole. Probabilmente poiché furono entrambe le cose, o perché le trattava come figlie. Ma poco importa. Importa che furono tutte studiose e tutte sapienti.
Teanò era filosofa, cosmologa, matematica, astronoma, studiosa di fisiologia ed eccellente guaritrice. Era dotata di forte personalità e viva intelligenza, emblema di conoscenza e rigore, scrisse un corpus di nove lettere, di cui tre sono oggi ritenute autentiche mentre le altre, con ogni probabilità, sono pseudo-epigrafiche, ossia attribuite a lei ma stese da altre donne pitagoriche.
In una delle sue lettere che sappiamo autentiche spiega cosa sia il numero, ossia mezzo e non fine per comprendere il cosmo. Si tratta del più lungo frammento attribuitole dagli antichi: in esso, la filosofa disputa l’idea pitagorica secondo cui ogni cosa sarebbe nata o avrebbe avuto origine dal Numero. Sostiene, a differenza dei Pitagorici classici che affermavano che ogni cosa fosse stata formata in accordo con il Numero, dal momento che nel Numero risiedeva l’ordine essenziale di tutte le cose, che: “questa affermazione lascia dubbiosi, in che modo è possibile che cose che non siano, generino”. Molte opere di Theanò sono citate dagli antichi scrittori. Bellissimi sono i suoi frammenti a carattere morale, ad esempio: “se l’anima non fosse immortale, la vita sarebbe davvero una festa per i malvagi che muoiono dopo aver vissuto una vita corrotta“.
Damo, figlia maggiore sua e di Pitagora, fu colei alla quale il celebre filosofo affidò i suoi scritti in punto di morte. Diogene riferisce che “la incaricò di non divulgarli a nessuno che fosse al di fuori della sua casa. E lei, sebbene avrebbe potuto vendere i suoi discorsi per molto denaro, non li abbandonò, poichè giudicò la povertà e l’obbedienza ai comandi di suo padre più preziosi dell’oro“. Giamblico riporta che “il suo trattato sugli Dei e ricevette l’assistenza di Orfeo, perciò quei trattati teologici sono sottotitolati, come i sapienti e fidati Pitagorici affermano, da Telauges; presi dai commentari lasciati da Pitagora stesso a sua figlia, Damo, sorella di Telaug”.
Myia fu un’altra figlia di Theanò e Pitagora, rinomata per la sua sapienza, la sua devozione, la sua eleganza, la cura per la sua casa, nota come ‘il museo’: esiste una lettera attribuita a lei e indirizzata a Phyllis, ricca di consigli d’igiene: “(…)Non lavare continuamente il bambino. Lavarlo non troppo spesso, a media temperatura, è la cosa migliore. Inoltre, l’aria deve avere una giusta misura di caldo e freddo, e la casa non dev’essere nè piena di correnti d’aria nè troppo chiusa. L’acqua non dev’essere nè calda nè fredda, e le lenzuola non devono essere ruvide ma piacevoli per la pelle. In tutte le cose, la natura desidera ciò che appropriato, non ciò che è stravagante. Queste sono le cose che mi sembrava utile scriverti al momento“.
La terza figlia ebbe il nome di Arignote. Fonti attendibili le attribuiscono importanti opere filosofiche di cui purtroppo non sono sopravvissute tracce se non un bellissimo frammento dal suo discorso sacro: “…l’eterna essenza del numero è la causa più provvidenziale dell’intero cielo, della terra e della regione in mezzo a queste due. Allo stesso modo è la radice della continua esistenza di Dei e Daimones, come anche degli uomini divini…”
Phintys, anche lei pitagorica della scuola di Kroton, sostenne chiaramente che la filosofia rientrasse fra quelle attività proprie ad entrambi i sessi. Affermò che sia gli uomini che le donne dovessero coltivare il coraggio, la giustizia e la moderazione, senza trascurare le virtù del corpo: salute, forza, bellezza e delicatezza. Infine vi racconto di Timycha di Sparta, che viene defiita da Giamblico fra “le più significanti donne Pitagoriche” per il coraggio e la resistenza dimostrata al cospetto del tiranno siracusano Dionisio, che la torturò convinto che più facilmente una donna, per di più incinta, gli avrebbe confessato dei segreti su altri pitagorici. Timycha, pur torturata in quelle condizioni, non parlò. Questo aneddoto vero o falso che sia, consente di comprendere com’era considerata la tempra delle pitagoriche!