Kati Horna: ritratto intimo della gente
Deutsch, come la chiamavano, fuggì dall’Ungheria nel 1933 e lo fece con la sua macchina fotografica Rolleiflex in spalla. Aveva con sé una valigia piena di vestiti, di negativi e l’immagine stampata in mente di suo padre arrestato dai nazisti. L’avevano portato via mentre lei non c’era e quando glielo dissero la scena si stampò nella sua mente come fosse una fotografia. Kati Horna era il suo nome. «Aristocratica per ascendenza, anarchica per convinzione, seduttrice per natura e vagabonda per vocazione». Appena giunse a Berlino, frequentò alcuni corsi di fotografia. Sua madre aveva insistito che José Pecsi, che in seguito avrebbe chiamato “il suo insegnante”, la seguisse. Così fece un corso anche con lui. Qui frequentò Bertolt Brecht e il fotografo pittore László Moholy-Nagy, che avranno su di lei grande influenza. Nella scuola di Josef Pécsi si insegnava una fotografia seducente, attenta alla comunicazione: quando l’avanzata nazista non lasciò più possibilità di tentennamenti, Horna cominciò la sua vita da apolide e portò con sé i suoi insegnamenti.
Tutti capirono subito che Kati sarebbe diventata una fotografa di talento. Lo mostrò già dai sui primi scatti. A soli 22 anni giunse a Parigi. Era il 1934. Il nazismo era alle porte della città, ma lì fu dove, grazie al suo inevitabile talento iniziò un percorso inarrestabile. In quegli anni, sperimentò, se così si possono chiamare i suoi indimenticabili primi lavori, l’uso dell’obiettivo per le strade di un paese offuscato dalla minaccia della guerra. Kati ottenne un ingaggio con la compagnia Agence Press Photo e il qui suo talento esplose letteralmente. Girovagava per la città come faceva Maier, come se la macchina fotografica fosse una sua appendice, un suo organo vitale, un altro organo di senso e dette vita a una serie di fotografie bellissime in cui i mercati delle bambole e dei giocattoli, delle pulci e del caffè ne divennero i protagonisti. Da allora, Kati Deutsch venne considerata una delle più importanti fotografe del surrealismo e una delle prime donne a convertirsi al fotogiornalismo, come fece la Miller, come Gerda Taro, Tina Modotti e tante altre di cui non si parla mai abbastanza e di cui pochi conoscono a fondo le vite.
Erano tempi bui per l’Europa e nel 1937 Kati decise di andare in Spagna. Una volta lì la Cnt (Confederación Nacional del Trabajo) le chiese di documentare il conflitto e Horna partì al fianco di Robert Capa, di cui divenne segretamente amante (e alla quale Capa lasciò per sempre, si dice, il suo cuore).
Attraverso la sua lente ha interpretato la sanguinosa guerra civile spagnola, con la quale, dicono, ha fatto propaganda repubblicana all’estero. Pubblicando le sue foto su riviste e giornali anarchici come Tierra y Libertad, Libre-Studio, Tiempo Nuevos, Mujeres Libres e Umbral (dove incontrò il suo futuro marito José Horna), si trasformò in una vera e propria minaccia per il regime. Kati, a differenza di Capa e Taro, non ritrasse tanto l’azione e la morte sul campo di battaglia, quanto invece la vita, quella dei civili tra cui donne e bambini; la vita, quella quotidiana dei campi, delle fabbriche e dei loro lavoratori della provincia di Valencia, Aragona e Barcellona. La vita vera, come faceva Tina Modotti.
C’era una rivoluzione da diffondere e una lotta da documentare e lei lo fece. In quegli anni incontrò José Horna, artista e illustratore che lavorava per riviste e stampa repubblicana. Il loro amore fu immediato, si sposarono subito, nel 1938, fuggendo insieme a Parigi. Lavorarono insieme su alcune serie fotografiche, collage e fotomontaggi. Parigi fu poi invasa dai tedeschi. Senza documenti e con qualche soldo, fuggirono di nuovo, di nuovo con la macchina fotografica in spalla e i negativi nella valigia, in cui misero solo qualche vestito per lasciar spazio all’attrezzatura.
Sarebbe stato un viaggio molto più lungo. Kati arrivò al porto di Veracruz su una nave di esiliati spagnoli lo fece e tutta la sua vita e il suo passato nella sua piccola valigia. Nell’ottobre del 1939, Lázaro Cárdenas, allora Presidente del Messico, accolse tra i 20 e i 25 mila rifugiati spagnoli, molti dei quali intellettuali, scienziati e artisti. Kati Horna era tra quelli. Stanca di fuggire, si stabilì a Città del Messico fino al giorno della sua morte, il 19 ottobre 2000. La sua vita intera è stata dedicata alla fotografia, all’arte e all’insegnamento. Perfino sua figlia comprese solo alla sua morte quale fosse la portata della quantità di fotografie che Kati aveva conservato.
Horna nel 1985 aveva già donato circa 6.000 fotografie al National Institute of Fine Arts, ma nonostante questo sua figlia si ritrovò in possesso di un’incredibile quantità di negativi. Qualche mese fa sono stati ritrovati 522 negativi che si credevano andati perduti. Non finisce di stupirci. D’altronde Kati diceva: “La macchina fotografica non è uno strumento, è me stessa“.
E ce l’ha ampiamente dimostrato. Indimenticabile.
FONTI:
Kati Horna, operaia della fotografia e amica delle streghe – Il Manifesto Edizione del 21 Febbraio 2020
Kati Horna: luz y misterio -Carlos Reyna –Gatopardo 19.10.18
La guerra perdida de Kati Horna -Peio H. Riaño- Madrid 23 ago 2019 –
Kati Horna: La misteriosa fotógrafa surrealista- Por UAM Cuajimalpa
https://en.wikipedia.org/wiki/Kati_Horna