“Mujeres Libres”
Agli inizi del ‘900 la Spagna doveva essere un luogo quanto mai retrogrado e soffocante in cui vivere. La chiesa cattolica era tutt’uno con le classi dominanti, composte da nobili nullafacenti, biechi latifondisti e industriali sfruttatori di braccianti e operai, ma comunque bigottissimi baciapile. A un certo punto molti cominciarono a non poterne più e in questo magma di modernizzazione, presa di coscienza e rivolta le donne furono in prima fila.
L’arcipelago della sinistra era variegato (anarcosindacalisti, comunisti ortodossi, cioè stalinisti, trotzkisti, socialisti, etc.) e spesso attraversato da gravi conflitti. Esisteva però una caratteristica comune: il profondo, innato, atavico, coriaceo maschilismo! È vero che nella costituzione repubblicana del 1931 era riconosciuto il voto alle donne, ma di fatto il loro ruolo politico e sociale restava molto limitato. A Madrid iniziarono a formarsi gruppi informali di ispirazione anarchica e nel 1934 tre donne fondarono l’associazione e l’omonima rivista, “Mujeres Libres”, i cui tredici numeri furono pubblicati dal 1936 al 1938.
Erano Lucìa Sànchez Saornil, nata a Madrid nel 1895, precoce poetessa, impiegata alle poste poi giornalista, Mercedes Comaposada i Guillén, nata a Barcellona nel 1901, avvocata e insegnante, e Amparo Poch y Guascòn, nata a Saragozza nel 1902, ginecologa. Tutte e tre facevano parte della CNT, la Confederacion Nacional de Trabajadores, dove il movimento anarchico era molto forte. Per di più, era forte la componente che si ispirava a Bakunin e che affermava l’uguaglianza fra uomini e donne. In teoria. La pratica era tutt’altra cosa. I compañeros si battevano per la libertà, ma volevano le loro mogli a custodire il focolare! Così le Mujeres Libres si impegnarono in una opera di valorizzazione e promozione, in particolare su alcuni temi: l’istruzione, la libertà sessuale (fra l’altro, Lucia era dichiaratamente omosessuale), la contraccezione, la salute, il lavoro.
La rivista era aperta a contributi di sole donne, l’unico uomo era il grafico, per il quale non si trovò una equivalente femminile. Lucìa pubblicava poesie e brevi saggi biografici, Mercedes si occupava di pedagogia, Amparo teneva un racconto umoristico a puntate sul Sanatorio Ottimismo con personaggi come il dottor Buonumore, l’infermiera Fantasia e il microbo Riflessione. Questa frenetica attività si inseriva nello slancio femminista che pervadeva tutta la Spagna con figure molto rappresentative quali Federica Montseny, che fu ministra della Sanità con Largo Caballero nel 1936-1937, Victoria Kent e Clara Campoamor, deputate entrambe per la sinistra ma divise sulla questione del voto alle donne, e l’infaticabile intellettuale Margarita Nelken, autrice del famoso saggio che nel 1919 aveva precorso i tempi: “La condiciòn social de la mujer en España” .
Grande fu l’apporto delle Mujeres Libres alla difesa della Repubblica durante la guerra civile. Dopo la fusione di varie associazioni, fra cui il Grupo Cultural Femenino di Barcellona, si contavano più di ventimila aderenti distribuite in tutte le principali città della Spagna. Vennero organizzate scuole tecniche per permettere alle donne di sostituire gli uomini al fronte nelle fabbriche e alla guida di autobus e treni; si istituirono corsi per infermiere destinate alla cura dei feriti; si crearono équipe di assistenza per i profughi; si raccolsero volontarie per scavare trincee e rifugi e guidare i cittadini sotto i bombardamenti. In alcuni, non troppi casi, le donne, dopo una preparazione militare, furono avviate al fronte. Com’è noto, se c’è una cosa che gli uomini in guerra odiano, è la presenza femminile, che li distrae e li preoccupa insieme.
La fine della guerra e il tracollo della Repubblica riportò la Spagna indietro di secoli. Il generalissimo Franco instaurò un regime feroce, ottuso e tradizionalista, in cui il compito delle donne era obbedire al marito, fare figli e andare a messa, sotto lo slogan “niños, hogar, iglesia” [bambini, casa, chiesa]. Per coloro che avevano sostenuto la Repubblica la scelta fu tra l’esilio, dopo una fuga spesso drammatica in Francia attraverso i Pirenei, oppure l’arresto, il carcere o la morte. Spesso le scelte ideali, la difesa dei valori e dei diritti, come vediamo anche oggi in tante parti del mondo, si pagano di persona!
Mercedes Comaposada si rifugiò a Parigi con il compagno Baltasar Lobo, scultore e amico di Pablo Picasso, il quale le offrì un lavoro come segretaria. In più, Mercedes si occupò di traduzioni e continuò l’impegno nel campo dell’editoria, in particolare per la rivista anarchica “Tierra y Libertad”. Rimasta in contatto con altri espatriati, collaborò alla pubblicazione del nuovo ciclo “Mujeres Libres en el Exilio” nel decennio 1965-1975. Si dedicò poi alla stesura di un libro di memorie collettivo, di cui si è persa traccia con la sua morte, avvenuta nel 1994 a Parigi.
Amparo Poch passò in Francia con il suo compagno Francisco Sabater. Avendo il permesso di soggiorno ma non quello di lavoro, si adattarono a cucire, in nero, abiti, borse e cappelli. Amparo tuttavia portò avanti uno studio medico clandestino per espatriati spagnoli finchè, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, fu integrata nel dispensario dell’ospedale di Tolosa. Gravemente ammalato, il suo compagno rientrò in Spagna agli inizi degli anni ’60. Anche lei, sofferente di un cancro al cervello, cercò di ritornare a Saragozza dalla famiglia. I genitori erano morti e i fratelli la rifiutarono, assicurandola però che avrebbero tanto pregato per lei. Morì il 15 aprile 1968. A lei sono dedicati, nella sua città, una via, un centro di medicina sociale e un’aula dell’università.
Lucìa Saornil e la sua compagna Amèrica Barroso ripararono in Francia, ma poi, passata clandestinamente la frontiera all’incontrario, si stabilirono a Madrid dove tentarono di ricostruire Mujeres Libres, non riuscendoci. Nel timore di essere scoperte, si trasferirono a Valencia, dove vissero nascoste fino al 1954. Lucia continuò a scrivere e negli ultimi anni le sue poesie rivelano un’angosciosa ricerca della fede.Tuttavia non pubblicò più nulla e morì nel 1970. L’amata Amèrica fece scrivere sulla tomba: “Pero… ¿es verdad que la esperanza ha muerto?” “Però, è vero che la speranza è morta?”. (M.P.)
FONTI:
Martha Ackelsberg, Mujeres libres. El anarquismo y la lucha por la emancipación de las mujeres, 1999
Isabella Lorusso “Donne contro” ed. CSA 2013
Isabella Lorusso, Beatriz Gimeno “Mujeres en Lucha”, ed. Altamarea, 2019
Mary Nash “Rojas: Las mujeres republicanas en la Guerra Civil”, 1999
Paul Preston, Colombe di guerra, Mondadori, 2006
Margarita Nelken “La condiciòn social de la mujer en España” ristampato nel 2013