Anna Kuliscioff la “duttura” delle donne povere
Anna Kuliscioff è impressa nella nostra memoria soprattutto per la sua azione in politica. Quasi tutt* la ricordano come la compagna di Andrea Costa o di Filippo Turati. Lei era la donna che aveva una fitta corrispondenza con Salvemini e che discuteva di politica con tutti i “sovversivi” più noti dell’epoca. Siamo nella prima metà del 1900. Antonio Labriola, per sottolinearne le capacità di analisi e di azione che facevano di Anna una leader, la definì “il solo vero uomo del socialismo italiano”. Anna Kuliscioff aveva davvero un’eccezionale predisposizione al ragionamento logico e rigoroso, accompagnati da carisma e personalità. Libera pensatrice e “fondatrice” con Turati del socialismo italiano. Fu una delle prime donne laureate in Medicina.
Sì, Anna, la socialista, l’anarchica che passò gradualmente dalle teorie bakuniniane al marxismo, nota per la passione politica con cui sosteneva le proprie idee e trascinava le folle, lei, prima di tutto, fu una dottora. Non si può separare questo aspetto dall’impegno che mise nella questione femminile e nel socialismo riformista, perché fu proprio questo che la mise maggiormente in contatto con le donne, spostando l’asse del suo pensiero marxista da un problema di proletariato a un problema di eguaglianza di genere. Il terreno di lotta politica su cui s’impegnò con determinazione trova radici nell’altruismo: iniziò infatti a studiare medicina proprio per aiutare gli altri, anzi le altre. Si parla sempre di Anna per i suoi trascorsi con l’anarchico bolognese Andrea Costa e con Filippo Turati, e troppo spesso si tralascia quella parte che faceva di Anna, Anna. Si dimentica l’influenza che ebbero incontri con personaggi della scienza e della medicina come Arnaldo Cantani, Cesare Lombroso, Camillo Golgi o Achille De Giovanni. Non si può dissociare il suo impegno politico dalla sua passione medica.
«Come mai isolare la questione della donna da tanti altri problemi sociali, che hanno tutti origine dall’ingiustizia, che hanno tutti per base il privilegio d’un sesso o di una classe?» è l’incipit con cui il “Dottor Anna Kuliscioff, Medico” si presentò alla famosa conferenza, dal titolo Il Monopolio dell’Uomo, tenutasi al Circolo Filologico Milanese il 27 Aprile 1890.
Era un’epoca in cui molti studiosi positivisti cercavano di spiegare “scientificamente” (ma sarebbe più giusto dire dimostrare, essendo l’inferiorità della donna già decisa a priori) la minoranza mentale e fisiologica della donna rispetto all’uomo, portando come prova le “naturali” deficienze psichiche e fisiologiche di un’inettitudine alla quale le donne erano educate fin da piccole dalla tradizione e dalla cultura. Julius Möbius nel 1900 scriveva in L’inferiorità mentale della donna «Più volte i medici si sono preoccupati della pretesa delle donne di essere ammesse allo studio della medicina. Forse non valeva la pena preoccuparsene. Se da un lato non si può negare che (…) le donne che esercitano la medicina, se debitamente guidate e invigilate, possono rendersi utili (…), dall’altro canto quanto più si va innanzi, tanto più l’idea del dottorato femminile va perdendo d’attualità. (…) Dunque, dal momento che tanto la medicina, quanto le stesse donne, hanno ben poco da guadagnare dallo studio medico femminile, la cosa è di poca importanza».
In quegli stessi anni Kuliscioff esortava: “Le donne non sono libere per colpa di quelle poche “timorate di Dio” che “non vivono che di frivolezze, di visite di toelette” e che, tese solo a “compiacere all’uomo”, lasciano “degenerare” i loro sentimenti migliori “in grettezza, avarizia ed egoismo domestico”. Nessuno aveva mai avuto il coraggio, fino ad allora, di sferrare un simile attacco alle donne della borghesia di Milano e di offrire un’analisi sociale così impietosa al movimento emancipazionista italiano. Faceva tremare la terra sotto ai piedi dei detentori del potere e della medicina: le donne cominciavano ad alzare la testa. Donne e dottore che s’impegnavano anche in politica per il suffragio femminile.
Maria Montessori per esempio, che diverrà famosa in tutto il mondo per il suo metodo, sarà nel 1896, la terza donna italiana a laurearsi in medicina, con la specializzazione in neuropsichiatria. “Signore tutte d’Italia, e anche voi sorelle d’oltre alpe e d’oltre mare “donne tutte: sorgete”. Maria, a differenza di Anna, rimase una figura sempre politicamente defilata e non schierata; senza ricercare ruoli di visibilità, che lasciava ad altre o che con altre condivideva, esercitò comunque una grande influenza sul movimento d’emancipazione delle donne. Anna la socialista, la rivoluzionaria, la leader, resterà per me la “signora dottora dei poveri”, la “duttùra” delle povere donne della periferia di Milano, la prima ginecologa disposta a visitarle senza voler nulla in cambio, a curarle – 88 anni prima della legge 194 – dalle ferite inferte dai ferri da calza e dai cucchiai da cucina delle mammane, a salvarle dalle febbri puerperali mortali grazie ad una cura di sua invenzione.
La sua scelta di essere dottora con tutte le complicazioni burocratiche, e il forte ostracismo accademico che incontrò nel completare gli studi per potersi specializzare in ginecologia, diedero un inarrestabile impulso al suo vigore politico. Dall’altra parte, sarà solo grazie alla sua sensibilità, perseveranza e a un diverso sguardo di genere, che Anna riuscirà a scoprire le cause batteriche che determinavano le febbri puerperali, prevenendo la morte di migliaia di donne. Una volta laureata non trovò lavoro. Proprio come Maria dalle Donne prima di lei, che si laureò dottora a Bologna nel 1799, e si specializzò poi in medicina nel 1800. Maria fu a capo della scuola di ostetricia di Bologna dal 1804 e tenne corsi per 40 anni nella sua abitazione ma non trovò mai impiego all’Università, nonostante le richieste inoltrate più volte. Kuliscioff finiti gli studi nel 1878 all’Università di Torino, tentò inutilmente di entrare in un ospedale pubblico. Dal 1888 riuscì ad esercitare la professione di ginecologa solo nell’ambulatorio medico gratuito aperto a Milano dall’emancipazionista Alessandrina Ravizza.
È evidente che non è proprio possibile disgiungere Anna “Medichessa” da Anna Leader politica. “Sono estenuata dal lavoro– confessava nel 1888, quando la sera rientrava nella sua casa di via San Pietro all’Orto – e non ho forze sufficienti per affrontare una fatica così enorme come fare il medico dei poveri e salire i cinque piani”. Ma la mattina dopo correva indefessa all’ambulatorio gratuito aperto da Alessandrina Massini Ravizza, tra le fondatrici nel 1899 dell’Unione Femminile di Milano, con la quale sostenne decine di iniziative riformiste e vari istituti pionieristici nel campo dell’assistenza: dalla Scuola professionale femminile, a fianco di Laura Solera Mantegazza, alla Scuola laboratorio per adulti e bambini sifilitici al Protettorato per adolescenti. Nel 1879 con Ravizza promosse la Cucina per ammalati poveri, il Magazzino cooperativo benefico e l’Ambulatorio medico gratuito, che offriva anche un’assistenza ginecologica alle donne più povere, nel quale prestarono la loro collaborazione le prime donne-medico.
Anna, la socialista, l’anarchica, la nichilista, per me solo Anna la donna, che rintracciava le radici dell’ineguaglianza sociale non solo nella proprietà privata o nello sfruttamento economico, ma prima di tutto e sopra tutto nella duplice e correlata manifestazione del dominio maschile nel «privilegio d’un sesso o di una classe». Secondo le sue convinzioni il monopolio del maschio si concretizzava nell’assoggettamento della donna e nel suo sfruttamento economico. Anna non poteva dimenticare la genealogia di una millenaria esclusione della donna dal dominio politico, quella stessa che colpiva anche lei e il suo lavoro: concepiva la sudditanza delle donne come una questione sociale, che andava affrontata e risolta attraverso un diverso approccio alla politica istituzionale e all’azione militante. Come Anna scrive ne Il Monopolio dell’Uomo: «La donna, per leggi di economia politica (…), collaborando direttamente nella produzione delle ricchezze sociali, ha potuto diventar consapevole della sua equivalenza all’uomo». Essere rivoluzionare significa partire da una diversa consapevolezza di sé nei diversi ambiti pubblici e privati, secondo un processo di condivisione politica. Anche oggi è così. Per Anna l’idea di giustizia sociale non era puramente in un’equa ridistribuzione degli stipendi, ma stava nella possibilità data alle donne di sviluppare le proprie capacità individuali: ciò grazie ad un’educazione diffusa e ad azioni collettive che potessero portare ad un reale cambiamento sociale delle condizioni di sfruttamento in cui si trovavano allora a vivere i lavoratori, in particolare le lavoratrici.
D’altronde Anna Kuliscioff è stata la prima donna, nel 1871, ad entrare al Politecnico di Zurigo, dove ha conosciuto Bakunin. Dopo di lei l’ateneo diventò il vivaio delle femministe europee: quelle con i capelli corti, lo sguardo cupo e altezzoso, la sigaretta, i grandi occhiali e i vestiti “tanto corti da sembrare fodere di ombrello”, scriveva Franziska Tiburtius, una delle prime dottore tedesche. Lì arriverà, 18enne, anche la polacca Rosa Luxemburg, nel 1889, nascosta in un carro di fieno.
Anna aveva ardenti occhi azzurri, la ciocca biondo ramata che sfuggiva dal rigido chignon, la voce dal risoluto accento russo. Era una bellissima donna. Le sue mani, quelle con cui tutta la vita ha curato le donne, faticavano a stringere il pugno per i primi segni dell’artrite remautoide, oltre alla tubercolosi che aveva contratto in carcere. Già, il carcere: tre arresti alle spalle con l’accusa di cospirare con gli anarchici per sovvertire l’ordine costituito. Andrea Costa fu uno dei suoi compagni: diventato il primo deputato socialista della storia italiana e fondatore dell’“Avanti!”, si avvicinò al socialismo proprio grazie a lei. Anche Turati fu suo compagno. Con lui Anna, in un appartamento di Portici Galleria al numero 23, trasformò il salotto di casa in studio e redazione di “Critica sociale”, la rivista del socialismo riformista italiano; mucchi di giornali e plichi di libri circondavano Anna e Filippo che lavoravano insieme. Nel salotto c’era un piccolo divano verde dove Kuliscioff riceveva illustri personaggi della cultura, come Luigi Majno, Ersilia Majno Bronzini e Ada Negri o esponenti della politica milanese, così come faceva sedere le persone più umili e le “sartine” che trovano in Anna un’amica e una confidente.
Anna Kuliscioff, il cui destino era iscritto nel suo nome. Kuliscioff infatti deriva dalla parola “kuleš”, che significa un piatto di polenta o di zuppa preparata sulla base della farina di piselli secchi con aggiunta di guanciale o lardo, grasso di maiale, e rappresentava un unico e abituale piatto quotidiano di gente povera; il nome Kuliscioff inizialmente veniva dato a una persona senza cognome, per esempio un schiavo liberato e noto per la sua costituzione robusta e il suo amore reale o presunto per il cibo.
Proveniva da una famiglia ebrea di commercianti. Dopo un’infanzia felice e dedita allo studio, nel 1871 si trasferì in Svizzera per frequentare i corsi di filosofia presso l’Università di Zurigo e iniziò a occuparsi di politica. Fu costretta, per ordine dello zar che iniziava a preoccuparsi per il diffondersi delle idee rivoluzionarie, a rientrare in Russia, dove si unì ad altre figure giovanili russe vicine alle idee di Michail Bakunin, nella cosiddetta “andata verso il popolo”, cioè il lavoro nei villaggi a fianco dei contadini e contadine per condividerne la misera condizione. In quel periodo si convinse della necessità dell’uso della forza per liberarli dall’oppressione. Per la sua attività venne processata dal tribunale russo e riparò in Svizzera. Per non essere rintracciata dagli emissari zaristi, cambiò il suo nome in Kuliscioff, che in Russia potevano avere solo le persone provenienti dalle famiglie di schiav*.
Morì a Milano nel 1925. Durante il suo funerale i fascisti, che siano maledetti, si scagliarono contro le carrozze del suo corteo funebre. E’ sepolta nel Cimitero Monumentale di Milano, dove presto andrò a trovarla. (R.F.)