Sguardi filtrati dalla scrittura della luce
La Biennale Donna dedica la sua XVIII edizione interamente alla fotografia. Attraversare l’immagine. Donne e fotografia tra gli anni ’50 e gli anni ‘80, la rassegna curata da Angela Madesani è tutta incentrata sul lavoro di tredici fotografe italiane e internazionali. Il filo di Arianna che unisce il loro lavoro è l’impronta sociale. Difatti, argomenti quali il lavoro, la politica, la guerra, i diritti civili, l’emancipazione di alcune classi sociali, costituiscono il punto di partenza per l’indagine storica e sociale compiuta in quei decenni.
La realtà è sempre stata letta attraverso i rapporti che ne forniscono le immagini. All’incirca da metà dell’Ottocento, tale lettura avviene anche attraverso la fotografia con la macchina fotografica usata come interprete della realtà. La fotografia ridefinisce la realtà in quanto tale, come pezzo da esporre, come duplicazione del mondo.
Dalla fine degli anni ’50, cresce la necessità di una profonda relazione con la realtà e si assiste a una produzione fotografica sempre più incentrata sui modi di vivere e di essere. Traspare sempre di più la condizione esistenzialista della persona e si decide di lasciare delle tracce del vissuto, “narrare” e documentare il flusso reale dell’esistenza, la relazione tra uomo e il suo ambiente. La fotografia è uno strumento capace di testimoniare direttamente qualcosa che sta davanti all’obiettivo, lasciare un’orma materiale del soggetto/oggetto come scriveva Susan Sontag. Il click della macchina fotografica ha il potere di trasformare un istante in un’eternità, di registrare un momento rendendolo permanente.
La rassegna è composta da fotografie in grado di plasmare lo sguardo, piene di vitalismo intenso e totale. Immergersi nella mostra Attraversare l’immagine. Donne e fotografie degli anni ’50 e gli anni ‘80 implica altresì una relazione che si crea con gli avvenimenti e le persone immortalati. Davanti al nostro sguardo, tanti lembi di vite e in alcuni casi persino uno scorrere impetuoso e disordinato della vita.
Il percorso espositivo inizia con le opere di Diane Arbus, che considerava la fotografia un atto globale di relazione col mondo. Arbus adotta un linguaggio diretto, frontale, quasi penetrante. Le sue fotografie spesso catturano soggetti particolari, “diversi”, gli emarginati, poco graditi alla società in quanto non conformi a certi canoni estetici e sociali. Il “perturbante” si mostra e diventa visibile. A chiusura invece, Francesca Woodman che offre il proprio corpo all’obiettivo. Un corpo che scivola nell’ambiente e cerca di minimizzarsi. Il suo lavoro è stato una perenne ricerca di un’identità e di una dispersione consapevole dell’Io.
Nel mezzo, altri grandissimi nomi. Di Chiara Samugheo sono presenti lavori che documentano alcuni momenti della vita meridionale e le “invasate”. Le cosiddette invasate nascondono in realtà un malessere ancestrale ossia essere donna, per di più in un contesto ancorato ai dettami religiosi, alle superstizioni e al mondo magico. Lori Sammartino egregiamente documenta il cambiamento della società italiana con l’avvenire del boom economico. Possiamo partecipare allo stupore e alla meraviglia davanti alla scatola magica della Tv oppure guardare nostalgici a una Roma piena di rovine e miseria, ma anche di incorrotta vitalità e innocenza. Le fotografie di Carla Cerati sono emotivamente strazianti; ci testimoniano l’intera tragedia umana di quei luoghi spettrali chiamati manicomi. Le fotografie non rendono immediatamente accessibile la realtà, ma le immagini. Immagini che imprigionano quella realtà che spesso si rivela recalcitrante, come nel lavoro di Letizia Battaglia che come poche ha raccontato la vulnerabilità e la potenza della sua Palermo. Rabbia, orgoglio, malcontento, dignità si possono ancora percepire nel lavoro di Giovanna Borgese che documenta le manifestazioni operaie degli anni ’70. Un Vogliamo tutto di Nanni Balestrini reso iconico dall’occhio penetrante di Borgese. Lo sfruttamento operaio è centrale anche nelle opere presenti di Lisetta Carmi, in una Genova chiusa e provinciale. Un’aperta denuncia dell’apartheid in Sud Africa è presente nei lavori di Paola Agosti, mentre la materializzazione della guerra avviene per mano di Françoise Demulder. Per citare Susan Sontag, possedere il mondo in forma di immagini significa appunto riscoprire l’irrealtà e la lontananza del reale. La forza e il lirismo delle immagini di Leena Saraste Mari Mahr, Petra Wunderlich, completano l’esposizione.
La mostra è allestita al Palazzo Marfisa, a Ferrara ed è visitabile fino al 22 novembre.
(Catalina Golban)