LE PRINCIPESSE SPEZZATE
La domanda che viene all’istante è come possa accadere. È una violenza contro sé stesse così feroce che per essere compresa deve per forza legarsi a violenze subite altrettanto feroci, ancora più feroci.
In una parte del mondo, quella del Kurdistan iracheno, ci sono donne che si danno fuoco per sfuggire a una cultura patriarcale che le vuole non solo mogli ubbidienti e silenziose ma donne sottomesse a quotidiani abusi e violenze domestiche da parte del marito e della famiglia di lui. Bambine cresciute come principesse dalle loro famiglie di origine… e per cosa? Per giungere al giorno in cui la favola si rompe per sempre, l’orizzonte delle loro vite si squarcia chiudendosi sul loro unico destino: un matrimonio spesso combinato fin dalla nascita e celebrato in età adolescenziale; un’identità che viene annientata, il sogno di un’indipendenza che da quel momento muore per sempre. Queste donne divengono nient’altro che oggetti di scambio sotto il dominio d’altri. Per questo compiono l’inaudito gesto di darsi fuoco, lo scelgono perché nella cultura curda è simbolo di purificazione e luce. In realtà, se sopravvivono, ciò che le aspetta sono sofferenze indicibili, il corpo devastato dalle ustioni, mesi e mesi di ospedale e riabilitazioni dolorosissime, insopportabili. È un gesto di rifiuto e ribellione che ha anche una sua “teatralità”: viene compiuto sempre in casa, quando qualcuno può vederle. Donne rese invisibili al mondo che dichiarano in quel terrile modo la loro esistenza, un gesto che rivendica di essere guardato. Si pentiranno di quel gesto, perché ciò che dovranno patire in futuro, le conseguenze terribili di un corpo reso fragilissimo dalle ustioni e una società che non offre loro nessun appoggio o alternativa di vita, è peggio di ciò che intendevano lasciarsi alle spalle. Quasi sempre sono le famiglie d’origine ad accoglierle, chi altri le vorrebbe. In ospedale, quel gesto, per volere delle famiglie, viene nascosto e schedato non come tentativo di suicidio, o suicidio, ma come incidente domestico.
Incidente domestico.
Questo è l’atto feroce e finale contro di loro: la negazione del senso di quel gesto. Tutto così è riportato all’ordine iniziale.
Viene in mente una frase della grande poeta russa Marina Cvetaeva, lei stessa morta suicida dopo un’insostenibile vita di stenti:
“Sappiate che esistono solo omicidi.
Al mondo nessuno si è mai suicidato.”
La fotografa e documentarista Valentina Sinis, ne ha fatto un lavoro accurato e prezioso: è riuscita a entrare in questa comunità, ad avere la fiducia di queste donne, e ha scattato migliaia di foto che le raccontano. È una delle vincitrici di Female in Focus 2020, premio internazionale che promuove e premia il lavoro straordinario delle donne in campo fotografico.