Le tre insaziabili C (Corpo, Cuore, Cervello) della Duchessa Rossa
C’è un’epoca e un luogo che sento miei come pochi altri, che mi infondono coraggio e senso di appartenenza, che mi fanno sentire che qualcuno prima di me ha vissuto come vorrei vivere io adesso e ha fatto cose per cui devo ringraziare: la Parigi fra le due guerre.
In quegli anni, sul palcoscenico della Rive Gauche, si sono giocate grandi trasformazioni culturali e artistiche, che hanno rivoluzionato il modo di fare arte e letteratura, arrivando a lambire, con la loro carica iconoclasta, anche il modo di gestire le relazioni umane, affrancate finalmente dagli schemi tradizionali della maggioranza e proiettate verso un concetto di umanità libera di vivere ciò che sente; ed Elizabeth de Gramont libera lo fu, lo fu a dispetto di tutti e di tutto, divenendo una delle protagoniste indiscusse della vita artistica, intellettuale e politica della capitale, e suscitando non poco stupore nell’animo di chi, come me, l’abbia accompagnata, attraverso la lettura … come una sorta di angelo custode, lungo tutta la sua avventurosa esistenza. Vorace e golosa (François Mauriac diceva di lei: “Quando Elisabeth de Gramont vi scruta da vicino con il suo occhialino, sta cercando di capire se siete commestibili”) Elisabeth, duchessa di Clermont-Tonnerre, perfetta epicurea dei tempi moderni, aveva un unico scopo ben focalizzato e irrinunciabile: godere in pieno la vita, vivere tutte le passioni, non rinunciare a nessuna. Riuscire poi a fare tutto questo fregandosene bellamente dei commenti della gente e al contempo mantenendo inalterata l’aura di snobismo aristocratico che il suo nome le imponeva, ma che lei stessa sentiva fortemente radicato in sé; beh questo era il quid che la rendeva davvero unica e irresistibile, anche per una tombeuse de femmes come Nathalie Clifford Barney.
Tuttavia, se ci tuffiamo in un viaggio a ritroso nella prima parte della sua storia, dalla nascita (23 aprile 1875) fino al matrimonio, possiamo cogliere la misura di quanto sia stato difficile e doloroso per questa donna arrivare a possedere la propria vita. La madre (Isabelle de Beauvau-Craon, uno dei nomi più antichi di Francia) muore nel darla alla luce, il padre (Agénor de Gramont, un cognome che risale al feudalesimo) giovane e aitante, militare di professione, la allontana prestissimo dal suo affetto consegnandola alle cure della nonna, per poi riprenderla con sé al compimento del quarto anno, dopo le seconde nozze (1878) con Marguerite de Rothschild, figlia del barone Mayer Carl e di Luise, che vivevano a Francoforte. La convivenza di Elisabeth, Lily, con i fratelli si rivela da subito un inferno: loro sono Rothschild, lei Beauvau – Craon; loro mangiano con posate d’argento, lei no; loro sono seduti insieme attorno ad una tavola al centro della stanza, lei tutta sola in un angolo. Il padre è un uomo duro, incapace di tenerezze, temuto dai figli e incurante del prossimo, il timore della figlia nei suoi confronti sarà sempre accompagnato da un sentimento di rifiuto, da una critica aspra e disincantata. Quando poi, il 3 giugno del 1896, a 21 anni, convolerà a nozze con il duca Philibert de Clermont-Tonnerre, aristocratico tanto elegante e raffinato quanto collerico e sadico, Elisabeth entrerà nel vortice di un girone dantesco caratterizzato da violenze psichiche e fisiche, con conseguenti aborti e parti prematuri, nonché segregazioni ‘dorate’, stagionali, nel castello di Ancy-le-Franc, in Borgogna. Dal matrimonio nasceranno comunque due figlie: Beatrix e Diane, con cui Elisabeth avrà sempre rapporti difficili, fatti di amore e odio, di aiuto e distacco, di dolore e rimozione (al capezzale della figlia Beatrix, morente, Lily arriverà tardi, un lutto gravissimo di cui non parlerà mai).
L’immagine che va delineandosi parrebbe, dunque, quella di una donna del suo tempo, assoggettata dalle leggi napoleoniche all’autorità paterna e maritale e priva di ogni diritto in merito alla gestione della proprietà e del denaro. Ma qualcosa stride, qualcosa dice che siamo in presenza di un cavallo di razza, di una irriducibile. Si scorgono infatti, a fronte degli atti di usurpazione di padre e marito, altrettanti suoi atti di rivolta, di resistenza coraggiosa e attiva: quando Agénor le sottrae un castello e un milione di franchi approfittando della sua minore età, la Duchessa, successivamente, intenta una vittoriosa causa legale ai suoi danni costringendolo a restituire il maltolto; pensiamoci: quale donna a quell’epoca avrebbe mai osato sfidare il proprio padre-padrone con gli strumenti offerti dalla legge? Solo una donna che si sente pienamente titolare di diritti, mentre tutto, intorno, sembra convincerla del contrario. E non è azzardato pensare che quando Philibert si impossesserà della di lei casa, le bloccherà i conti personali, corromperà i domestici, ricorrerà a scorrettezze di ogni genere per tenerle testa, l’atteggiamento puntualmente coraggioso e reattivo di Elisabeth abbia rincarato la dose di crudeltà di lui, quasi a ritenere che la violenza fisica fosse l’unica arma rimasta contro una moglie troppo intelligente e pronta di spirito … per i suoi gusti.
La discrasia fra fuori e dentro è lampante: il tempo interiore di questa donna è molto diverso da quello in cui i dati anagrafici la vogliono relegare; è il tempo dell’assoluta fedeltà a se stessa, il tempo del desiderio di essere libera su tutti i fronti, di cercare l’assoluto nell’arte, nella conoscenza, nell’amore … e proprio dell’amore cade perdutamente vittima, a 34 anni, in una fine d’aprile del 1909, al pranzo della poetessa Lucie Delarus-Mardrus: qui Elisabeth e Nathalie Clifford Barney, miliardaria americana, espatriata a Parigi con la madre e la sorella, incrociano i loro sguardi e non sanno che questo incontro intreccerà le loro esistenze per sempre.
Basta poco alle due innamorate per avvertire come insopportabile il peso di un marito (Philibert) che ha capito tutto e che sembra intenzionato ad ostacolare con tutte le sue forze la loro relazione; la duchessa abbandona il tetto coniugale qualche anno dopo (1913) e accede alle aule per il divorzio nel 1919, ottenendo la sentenza definitiva nel 1920. Una sentenza poco soddisfacente perché all’epoca il divorzio non era la soluzione migliore per le donne, altre amiche vi erano passate (Colette per esempio) ed erano finite nella miseria più nera. Il tribunale di Parigi accoglie le richieste di entrambi: quelle di Elisabeth perché ha dovuto sopportare violenze comportamentali fino all’ingiuria (perdere due bambini a suon di botte, per i giudici degli anni Venti altro non è che ingiuria…); e quelle di Philibert, perché sua moglie ha abbandonato il tetto coniugale. I due procederanno a dividersi i beni in comunione, ridotti a quelli acquisiti insieme, praticamente niente.
Ma ad Elisabeth non importa, ha acquistato per sempre la sua libertà; da questo momento prende il volo, il vulcano assopito dentro di lei si risveglia proiettandola in una farandola di attività intellettuali, politiche e artistiche. Oltre che scultrice, illustratrice, librettista di balletti, è una scrittrice apprezzata, sono molte le opere letterarie che portano la sua firma, per citare le più famose: “Histoire de Samuel Bernard et de ses enfants”, Paris, Edouard Champion, 1914, che racconta la vita del finanziere parigino del 1650, figlio del pittore di Luigi XIV, biografia conosciuta da Proust e consultata ancora oggi da storici e ricercatori; “Almanach des bonnes choses de France”, Crès, Paris 1920, un omaggio a Epicuro e alla buona cucina, un invito a partecipare alla vita con i sensi del gusto, della vista, dell’olfatto, del tatto, libro che ogni famiglia francese annoverava fra gli irrinunciabili; “Du bon ton” Flammarion, Paris 1923, nel quale non spiega come stare a tavola, come rispondere ad una lettera, come rivolgersi ai superiori, ma è piuttosto una raccolta di ricordi, aneddoti, punti di vista di una signora che conosce il mondo e lo racconta in maniera ironicamente familiare; “Mémoires: au temps des équipages”, Grasset, Paris 1928, memoriale che fa tremare il Faubourg Saint-Germain, perché tutti sanno che lei non ha alcuna remora a raccontare qualsiasi cosa e che è riservata solo con se stessa; e ancora “ La Femme et la Robe: des modes et de leurs singularités”, La Palatine, Paris, Genève 1952, storia della moda femminile, con un’incantevole copertina di René Gruau. Scherzo del destino che una donna nota per il suo disprezzo della moda, scriva un libro sull’eleganza dello stile.
All’attività letteraria unisce anche quella di conferenziera, negli Stati Uniti e in Canada, gli americani infatti hanno molto apprezzato i primi due volumi delle Memoires, tradotti in inglese, e sono curiosi di conoscere questa signora un po’ sopra le righe. New York, Chicago, Cincinnati, Detroit, Boston sono solo alcune delle tappe nelle quali incontrerà personaggi di spicco della vita politica, economica e artistica: Roosvelt, Henry Ford, Diego Rivera per citarne alcuni. Il successo della tournée e il relativo riscontro economico le consentono di vivere senza l’assillo del denaro e senza l’aiuto di Nathalie per qualche tempo. Eh sì, perché la duchessa di Clermont-Tonnerre è una donna sui generis anche in questo: la crisi della nobiltà, le depredazioni del padre prima e del marito poi, le cause intentate dalla figlia e una scarsa attenzione congenita per il denaro, hanno fatto di lei una donna perennemente con l’acqua alla gola e quindi obbligata ad inventarsi di tutto per poter sopravvivere, soprattutto quando il franco, dopo le due guerre, perde tutto il suo valore. La vedremo affittare casa propria, organizzare mercatini dell’antiquariato, pubblicare articoli, scrivere libri … accettare denaro a malincuore da Nathalie, sempre con il proposito di restituirlo.
Persino Proust rimane colpito dalla carica iconoclasta di Elisabeth e, nel suo capolavoro (La Recherche), la ritrae nell’amata duchessa di Guermantes, un ruolo che fa gola a numerose dame della società ma che inequivocabilmente appartiene solo a lei (“Mme de Guermantes stravolgeva continuamente, tra la gente del suo ambiente, l’ordine dei valori”, si divertiva a “ infrangere le tradizioni”; e, parlando del duca, “è un marito terribile, che non ha mai smesso di tradire sua moglie, d’insultarla, di brutalizzarla e di lesinare soldi”).
Ma perché Duchessa Rossa? L’aggettivo sostantivato si riferisce indubbiamente alle sue manifeste simpatie per il marxismo e per il Front Populaire negli anni Trenta, nonché per la Francia resistente di De Gaulle negli anni dell’occupazione tedesca. In realtà Elisabeth non si è mai iscritta al Partito Comunista Francese, quest’ultimo, da quando è stato fondato, nel 1920, raccomanda la parità dei sessi, fonda organizzazioni femminili dedicate alla pace e all’antifascismo, combatte la legge che punisce severamente l’aborto e che proibisce ogni pubblicità in tema di contraccezione.
Tutto questo piace alla Duchessa, ma allora come mai non vi aderisce ufficialmente? Perché se il discorso sull’uguaglianza sessuale la attrae in modo particolare, la censura dei costumi la irrita profondamente. Gli apparati del partito trattano il tema della sessualità in modo rigido e oltranzista, per loro l’unico modello di sessualità autorizzato è quello eterosessuale vissuto all’interno della coppia, formata esclusivamente da un uomo e da una donna. L’omosessualità è denunciata in termini che vanno dal disgusto alla derisione: in ogni caso è il prodotto di costumi e di abitudini della borghesia degenerata, costumi che vanno estirpati. Marxista sì, ma non al prezzo di rinunciare alla sua personalità, ai suoi desideri, alla sua essenza. Marxista sì, ma a modo suo, una marxista filosofa, che si recherà più volte in Russia per capire cosa è rimasto del pensiero di Karl Marx nel comunismo sovietico e per adoperarsi affinché questi ideali non vengano snaturati in Francia.
Nel 1935 sfilerà da Place de la Bastille a Place de la Nation con altre 500mila persone rispondendo all’appello del partito comunista, socialista e dei radicali per la grande manifestazione contro la violenta ondata fascista che ha colpito la Francia, scatenando le ire dei giornalisti di estrema destra, che non esitano a declassare il suo credo politico a ‘bolscevismo salottiero’, e il suo incedere fiero ad una comica marcia ‘con un berrettino di basso prezzo, adatto alle giornate popolari’, osando affermare persino che ‘le restava da fare ancora solo un’unica esperienza, quella della strada (René Richard, giornalista di Candide, giornale affiliato all’Action Française).
L’altra grande libertà conquistata da Elisabeth con il divorzio, oltre quella di potersi esprimere culturalmente e artisticamente è quella di vivere finalmente senza limitazioni la storia d’amore con Nathalie Clifford Barney, che fino a prima della separazione, e contro le sue abitudini, aveva dovuto rimanere pazientemente nell’ombra, rispettando persino il divieto (impartito dalla Duchessa) di firmare le lettere che le inviava. Nathalie è affascinante, ricca, colta, amante delle donne e del bello, ospite impeccabile di un ‘salon’ letterario nella sua abitazione di Rue Jacobs, che vedrà momenti felici per 50 anni e si chiuderà definitivamente nel 1968, anno delle rivolte studentesche (quanto di quello che ha vissuto Nathalie faceva parte di quei valori che stavano per affermarsi??).
Quando conosce Elisabeth ha già avuto storie con almeno metà delle donne dell’alta società parigina, eppure ravvisa subito in quell’incontro un’unicità che merita di lasciarsi sconvolgere la vita (per chi la conosce è stupefacente sentirla definirsi “una cosa” “una cosa tua tutta per te”). Si amano, viaggiano, apprezzano la buona cucina, e generano lo scandalo nello scandalo perché Nathalie, trascorso il periodo iniziale di innamoramento folle, affianca al ménage numerosi flirts e relazioni di breve durata che la Duchessa tollera più per timore di perdere l’amata che per convinzione, ma quando comprende che nessuno è veramente degno di sconvolgere i loro cuori, i loro cervelli, i loro corpi (le tre C che le due amanti coltivano religiosamente), accoglie il principio di non sufficienza dell’una all’altra ma della necessità dell’una all’altra per poter amare anche altre (“è necessario che tu mi sia accanto per poter amare anche le altre”).
È con questa consapevolezza che firma il contratto matrimoniale redatto da Nathalie su carta intestata dell’Hôtel de l’Europe et Villa Victoria di Aix-les-Bains , con tanto di scambio finale di fedi: “Contratto di matrimonio tra le quarantenni, deciso dopo nove anni di vita condivisa, di gioie e preoccupazioni compartecipate, di tradimenti confessati. Nel sopravvivere di un legame che crediamo – o vogliamo credere – indistruttibile – poiché siamo giunte a questa conclusione nel momento di minima emotività reciproca. L’unione, consolidata negli e dagli anni, ha subito infedeltà da ambo le parti verso il sesto anno: tradimenti che hanno testimoniato come l’adulterio sia inevitabile soprattutto nelle coppie prive di pregiudizi anche religiosi se non quelli dei loro sentimenti, senza altre leggi che quelle del loro desiderio, incapaci di sacrifici vani che appaiono come la negazione della vita. Ma forti e fidenti di potere senza illusioni e senza esagerazioni, morire o vivere l’una per l’altra. E pur riconoscendo di non essere sufficienti l’una all’altra, siamo tuttavia l’una all’altra indispensabili … E l’essere che io sposo, non sarà né moglie, né schiava, né sposo, termini sessuati di tempi effimeri, ma il mio essere, my mate, il mio compagno eterno.”
Il contratto rivela una Nathalie appassionata, amorosa, alla quale Elisabeth è indispensabile e quest’ultima, sottoscrivendo il patto, si mostra all’altezza delle aspettative. Il loro rapporto esclusivo e al contempo aperto si manterrà vivo nel tempo, anche se molte donne si avvicenderanno fra le braccia dell’una o dell’altra, alcune importanti, come lo fu Romaine Brooks, pittrice americana, per Nathalie, o Blanche Gay, venditrice privata di Patou, anima semplice, fedelissima governante-amante di Lily; altre meno, ma l’attenzione e l’impegno dedicati ad onorare anniversari e ricorrenze (famosa è quella della loro prima notte, che festeggeranno il 1° maggio di ogni anno con uova di pavoncella e Château Yquem), anche a distanza di decenni, testimonia tutta la forza del legame che le unisce.
La Duchessa muore la notte del 4 dicembre del 1954, nel suo letto, con il libro di Proust su Sainte-Beuve fra le mani e Blanche che gliele stringe. Nathalie arriva prestissimo al mattino, si ferma sconvolta sulla soglia della camera, non osa toccarla (“perché se le toccassi le mani come non potrei cercare di strapparla alla morte?”), come un’automa si fa guidare dal ‘loro fiorista’ dove sceglie fasci di lillà bianchi e di calle. Non sale, aspetta in macchina che il suo autista recapiti la cesta, con un bigliettino scritto malamente: “A Lily”. Non va al funerale e non racconterà mai molto sulla duchessa, conserverà il suo lutto d’amore in segreto, un lutto così doloroso che non vorrà dividere con nessuno.
A Lily, che non credeva nella Chiesa, verranno imposte le esequie religiose a Glisolles, dove troverà sepoltura nella tomba di famiglia dei Clermont-Tonnerre, di fianco al duca … Philibert. L’ amaro finale, fissato all’eternità, di un ritorno della Duchessa … là da dove era fuggita in cerca di libertà. (P.M.)