Isabella Lucy Bird “Ho la libertà e tu sai quanto mi piace! […] Cosa sarebbe la mia vita solitaria senza di essa?”
Isabella Bird si sentiva come se la sua “vita fosse trascorsa nell’occupazione davvero ignobile di prendersi cura soltanto di se stessa e che, a meno che non accadesse qualche cosa d’incisivo che creasse un’ azione di disturbo, sentiva che rischiava di diventare incrostata d’egoismo.” D’altro canto, quando si è uno spirito libero, ma si è costrette a vivere nello Yorkshire, Inghilterra del Nord, una decina di anni dopo la Regina Vittoria, decisamente dev’essere una tortura. Ma la sua vita non avrà proprio nulla di vittoriano!
Le aspettative delle donne in quest’epoca erano limitate, e gli slanci di qualsiasi tipo repressi…. di conseguenza si ammalavano frequentemente: letargia, insonnia e depressione erano molto diffuse. Isabella Lucy Bird era malata fin dall’infanzia, avvolta in una confortevole e, al tempo stesso, soffocante esistenza rispettabile; soffrì fin da giovane di terribili dolori alla schiena, che la inchiodarono a letto per anni.
Isabella aveva iniziato da piccola a cavalcare, assieme al padre che, tra un galoppo e l’altro, la istruiva sui classici e sulla Bibbia (era un pastore anglicano). Vista la sofferenza, quando aveva 19 anni, il padre la fece sottoporre a un intervento chirurgico: le rimossero un tumore alla colonna vertebrale. Ma anche dopo l’intervento la cattiva salute proseguì: aveva lunghi periodi di insonnia e depressione. I medici allora le raccomandarono un viaggio per mare e il padre acconsentì a pagarle un soggiorno negli Stati Uniti, a casa di parenti. Questo sarà il primo di molti suoi viaggi. Isabella Bird diventerà infatti una scrittrice e una fotografa di viaggio, le sue intrepide avventure arrivarono nelle case degli inglesi; lei riuscì a portare l’esplorazione nella vita delle persone comuni, in un momento in cui le donne viaggiavano raramente, e certamente non in modo indipendente.
Girerà il mondo da sola, dalla Corea alle Hawaii, dal Giappone al Colorado, vestita sempre con abiti che le consentivano di muoversi e cavalcare in libertà, esattamente come gli uomini, ma senza dare scandalo: con pantaloni alla turca, casacca e sopra a tutto un abito hawaiano colorato. Ad ogni viaggio si rafforzerà. Avrà problemi di salute per tutta la vita tranne nel corso dei suoi viaggi.
Isabella pur vivendo in un’epoca così difficile per le donne, prese lentamente consapevolezza del grande potenziale femminile e capì che, quando s’impediva alle donne di esprimerlo, le donne diventavano un pericolo per se stesse. Anni dopo scrisse: “Dovrò sempre in futuro, come in passato, contrastare la debolezza costituzionale con un lavoro serio e cercando di prendermi cura di me nell’interesse degli altri“.
La sua prima esperienza di liberazione avvenne nel 1854, quando andò nel Nord America per stare con i cugini, nella speranza che il cambiamento di ambiente sarebbe stato positivo per la sua salute. Il padre sovvenzionò il viaggio con una somma di 100 sterline che consentirono a Isabella di rimanere diversi mesi negli Stati Uniti e nel Canada orientale. Al termine del viaggio scrisse il suo primo libro, The Englishwoman in America, pubblicato anonimo nel 1856, che ebbe subito un grandissimo successo.
Diciotto anni dopo Isabella è diventata un’altra donna, quella che voleva e doveva essere da sempre, pronta per un’altra spedizione molto più ambiziosa. Viaggerà infatti per il mondo, dalle montagne rocciose del Canada e degli Stati Uniti fino in Persia, Turchia, Marocco, Giappone, Manciuria e diventerà la prima donna nella storia nominata membro della Royal Geographic Society. Un’esploratrice a tutti gli effetti, o quasi….. visto che la nomina prevedeva comunque che non avesse facoltà di parola in pubblico. (Non ho parole!)
I suoi report di viaggio e le sue fotografie sono bellissime. Aveva 41 anni quando, non sposata e del tutto disinteressata al matrimonio, partì da sola per i viaggi che la portarono in Australia, nelle Hawaii e nella costa del Pacifico dell’America.
L’Australia però non le piacque, mentre le isole Hawaii (allora conosciute in Europa come isole Sandwich) le piacquero al punto da divenire il soggetto del suo secondo libro, The Hawaiian Archipelago. Durante la sua permanenza trovò il modo di scalare il vulcano Mauna Loa e di rendere visita alla Regina Emma Kaleleonalani, della quale tratteggiò alcuni cenni nel suo libro.
Sempre afflitta dai suoi dolori, si trasferì in Colorado, all’epoca lo stato più recente degli Stati Uniti, della cui aria aveva sentito elogiare le virtù terapeutiche. Dal 1869 la California era collegata per ferrovia alla costa orientale, ma Isabella si spinse fino a Truckee nella Sierra Nevada e raggiunse Denver, dove la ferrovia finiva. Si ritrovò nel tumulto di una città mineraria appena messa in piedi e si fece strada coraggiosamente nelle strade affollate, tra cercatori d’oro ubriachi e giocatori d’azzardo. Comprò un cavallo per andare da sola a Lake Tahoe, andando a cavalcioni, in un vestito che aveva appositamente adattato allo scopo – anche se nessuno a Truckee si preoccupava molto di questo passo rivoluzionario. Tahoe, con la sua “brillantezza di cielo e atmosfera” e “elasticità dell’aria” e un incontro pericoloso con un orso, non la deluse affatto, anzi fu solo un preludio.
Ma ha già fatto di tutto, penserete! No, la vera avventura doveva ancora venire: Estes Park, nel Front Range delle Montagne Rocciose a nord-ovest di Denver, dove la ferrovia terminava. Estes Park era unicamente natura selvaggia, a malapena abitata da esseri umani ma ricca di fauna selvatica.
Nel 1873 percorse circa 800 miglia nelle Montagne Rocciose. Le sue lettere alla sorella, già pubblicate nel periodico Leisure Hour, costituiranno il suo quarto e probabilmente più celebre libro, A Lady’s Life in the Rocky Mountains. In Colorado, Isabella rimase affascinata da Jim Nugent, un pittoresco personaggio dal passato poco limpido, del quale scrisse alla sorella: “è l’uomo di cui ogni donna si innamorerebbe ma che nessuna donna sana di mente sposerebbe mai”.
Isabella trascorse mesi nelle Montagne Rocciose e, una volta, a corto di soldi, si guadagnò da vivere cucinando e pulendo i cavalli dei cow-boys. Le piaceva lavorare. Il lavoro la faceva sentire se stessa, indipendente e appagata. “Ho pulito il salotto e la cucina, lavato, cotto e poi ho preparato 4 libbre di biscotti dolci e li ho infornati, dopo di che ho dovuto pulire tutte le mie lattine e le mie pentole e fare la mia stanza e trasportare l’acqua“. La sua volontà di lavorare era, in un certo senso, un passaporto per la sicurezza. Gli uomini chiaramente non si sentivano minacciati da lei, e lei conservava la sua fiducia nell'”abitudine alla cortese cortesia verso le donne” che credeva caratterizzasse la frontiera.
Era spesso sola quando viaggiava sulle Montagne Rocciose e molto spesso, mentre era sola, veniva colta da un senso di solitudine, isolamento e vulnerabilità. Una volta in particolare quando, inghiottita da una tempesta di neve, la tormenta cancellò la pista e si trovò davvero in grande difficoltà.
Di quest’esperienza scrive: “Non posso descrivere i miei sentimenti su questa cavalcata, prodotta dalla totale solitudine, il silenzio e la stupidità di tutte le cose, la neve che cade silenziosamente senza vento, le montagne cancellate, l’oscurità, il freddo intenso e l’aspetto insolito e spaventoso della natura.”
Nei suoi libri si percepisce come il potenziale pericolo fosse rischioso e vitale al tempo stesso per la sua persona. In un’altra occasione, quando perse la sua strada, scrisse: “Mi sentivo molto lugubre e decisi di arrancare per farmi guidare tutta la notte dalla stella polare … era macabra“. Pane da forno per cowboy, un raccapricciante viaggio nella notte – ben lontano dai salotti di Edimburgo, ma entrambi, in modi diversi, un modo per salvarsi.
Quando Isabella tornò in Scozia non ritornò più alla passiva esistenza borghese in cui era cresciuta. Mise in piedi una campagna in favore degli abitanti delle baraccopoli e dei croft; lavorò alla stesura del libro tratto dalla corrispondenza di viaggio tra lei ed Henrietta, insomma, non si fermò un attimo.
Purtroppo però i vecchi sintomi di nevralgia e depressione tornarono. Così, nonostante avesse viaggiato moltissimo, comprese che il rimedio per lei era nel viaggio. Salpò per il Giappone. Il resoconto delle sue esperienze, riportato in Unbeaten Tracks in Japan (1880), descrive crudamente lo squallore primitivo, la sporcizia, le malattie, il cibo miserabile, i ratti, le zanzare incontrati nelle aree più remote. Il suo editore, John Murray, cercò di convincerla a rendere più “morbide” le sue descrizioni. Non erano argomenti adatti a una signora! Ma i suoi libri – e lei scrisse di ogni suo viaggio – divennero popolari e riscossero un gran successo.
Dopo la morte di Henrietta e dopo aver sposato il dott. Bishop, che l’aveva in cura, ripartì.
Resterà in viaggio per la maggior parte del resto della sua vita: Tibet, Persia, Kurdistan, Corea, Cina. Non viaggiò sola qui, ma con guide o spedizioni, perché erano paesi pericolosi, anche per gli uomini. Isabella sentiva che viaggiare sotto scorta comportava “un certo abbandono della mia libertà” e avrebbe preferito viaggiare da sola, ma accettò la necessità della protezione.
Il viaggio da Baghdad a Teheran fu il peggiore di tutti i suoi viaggi. Incontrarono bufere di neve sulle montagne a est di Kermanshah; a dorso di mulo, avvolta in diversi strati di lana, tre paia di guanti, pelle di pecora, un mantello di pelliccia e un mackintosh attraversò la tempesta.
Nel 1892 Isabella Bird fu la prima donna eletta della Royal Geographic Society, e nonostante l’opposizione di numerosi membri. In una lettera al Times, il 30 maggio 1893, Lord Curzon scrisse: “Ci opponiamo alla capacità generale delle donne di contribuire alla conoscenza geografica scientifica. Il loro sesso e la loro formazione le rendono inadatte per l’esplorazione, e la femmina giramondo per noi è uno degli orrori della fine del XIX secolo. Un orrore, una minaccia per le istituzioni stabilite, per il tessuto della società. L’idea che la figlia di un parroco vada nel deserto in compagnia di un ruffiano con un occhio solo, oppure calvalchi uno yak, o rischi l’annegamento mentre attraversa un fiume in Ladakh, oppure ancora si faccia strada, ormai sessantenne, verso il fiume Yangtze, mette a repentaglio le ipotesi fondamentali sul ruolo delle donne. In che modo tali attività riflettono sulle aspirazioni e le aspettative degli uomini? E Isabella Bird, piccola di statura e silenziosamente convenzionale in apparenza, non solo ha fatto queste cose ma ne ha anche scritto. Ha pubblicizzato la sua sfida.”
In seguito a questa lettera quindici donne che erano state scelte con Isabelle non vennero più elette.
Nel 1894 lasciò nuovamente l’Inghilterra diretta in Giappone e poi in Corea dove rimase diversi mesi e che poi dovette lasciare per lo scoppio della prima guerra sino-giapponese. Si recò in Manciuria, dove a Mukden scattò alcune fotografie di soldati diretti al fronte. Fu una dei primi reporter di guerra!
Tornò in Corea per documentare la devastazione della guerra. Nel 1896 risalì con un sampan il fiume Yangtze fino alla provincia del Sichuan, dove venne imprigionata dalla folla in una casa che poi venne data alle fiamme. Si salvò in extremis grazie all’intervento di un distaccamento di soldati. Si diresse verso le montagne al confine col Tibet e nel 1897 fece ritorno in patria dove scrisse il libro The Yangtze Valley and Beyond pubblicato nel 1900. Nel 1897 mentre era in Corea scrisse a un amico: “ Ho la libertà e tu sai quanto mi piace! […] Cosa sarebbe la mia vita solitaria senza di essa? “
Il suo ultimo viaggio fu in Marocco, nel 1901. Al ritorno si ammalò e morì a Edimburgo il 7 ottobre del 1904.
Rai Storia le ha dedicato una delle puntate sulle grandi viaggiatrici tra XVIII e XIX secolo.