Alexandra David-Néel che fuggì da casa in bicicletta e attraversò il Tibet
Quando si dice una vita fuori dagli schemi, non posso non pensare a Alexandra David-Néel, una donna francese, ribelle, orientalista sul campo, esploratrice, antropologa, scrittrice, fotografa.
A lei che nel 1886, all’età di soli diciotto anni, abbandonò la casa dei suoi genitori a Bruxelles per viaggiare in sella a una bicicletta, tagliare in diagonale la Francia e raggiungere la Spagna. Che mito! Ma non si fermò: trasferitasi in Inghilterra, a Londra, iniziò a studiare le filosofie orientali di cui s’innamorò letteralmente. L’incontro con il pensiero orientale la cambiò moltissimo. Quando fece ritorno a Parigi seguì le lezioni di Lingue Orientali alla Università della Sorbona: era una donna che riusciva a trovare il tempo per studiare, viaggiare, iscriversi a società segrete (nella Massoneria raggiunse il 33º ed ultimo grado del Rito scozzese antico ed accettato!), e a partecipare ai movimenti femministi e a quelli politici.
Nel 1899 scrisse un saggio anarchico “Pur la Vie” con lo pseudonimo di Alexandra Myrial in cui denunciava fortemente la forma del matrimonio tradizionale e come il peso della maternità gravasse sulla vita delle donne. Gli editori dell’epoca furono spaventati e rifiutarono la pubblicazione di questo libro scritto da una donna anarchica ribelle che denunciava gli abusi dello Stato, dell’esercito, della chiesa, dell’alta finanza. Ma quando l’opuscolo giunse alla stampa fu alla fine tradotto in cinque lingue! Lì, in Francia, divenne una libera collaboratrice di La Fronde, giornale femminista gestito da una cooperativa di donne.
Ma nel periodo in cui le suffragette si battevano per il voto lei, ribellandosi anche alla visione stessa delle donne più moderne di quel tempo, era disinteressata al voto, perché inseguiva l’idea, come la Woolf d’altronde, che la lotta per l’emancipazione economica fosse più che mai legata alla condizione di subordinazione finanziaria femminile, causa essenziale d’infelicità, poiché la mancanza di indipendenza si traduceva in mancanza di libertà di scelta.
Ma chi era Alexandra David? Già. Mi piacerebbe proprio riuscire a dirvelo, o almeno provare a raccontarvi come visse; anche se questo non ci può sempre dire chi sia qualcuno, fa capire molto a chi sa leggere dietro le azioni. In fondo Aristotele diceva che “il fine della nostra vita non è nel nostro modo di essere, ma nel nostro modo di agire”. E questa è la frase che più racconta Alexandra, perché la sua vita si cela proprio nelle sue azioni. Agire, che viene dal latino àgere, significa andare, spostarsi, partire, compiere, raggiungere, venire, spingersi, mostrarsi, fare, operare, avvicinarsi, muovere, condurre. È in questo verbo che si riassume la sua vita. O le sue tante e diverse vite potrei dire.
Nel 1890 grazie a una eredità proveniente dalla nonna materna, Alexandra si spostò in lungo e in largo e viaggiò per tutta l’India. Qui apprese affascinata la musica tibetana e le tecniche di meditazione, ma doveva pur trovare un modo per vivere perché i soldi presto finirono. Cosa fece allora? Per diventare indipendenti bisogna lavorare! E siccome aveva una bella voce iniziò a cantare. Era così brava che cominciò a muoversi per il mondo come cantante lirica, divenendo la prima donna cantante soprano all’Opera di Hanoi. Ora riuscite visualizzarla per un istante? Chiudete gli occhi e immaginate una cantante d’opera lirica di fine ‘800. Troppo tardi, ci è già sfuggita! Nel 1902, quando avrebbe potuto godere di quel successo e della fama ottenuti cosa fa?
Riparte. Le viene offerto di condurre la direzione artistica del teatro di Tunisi così va in Africa settentrionale, dove studia il Corano, ma nel suo andare, nel non fermarsi, promette di fare ritorno in Asia, là dove abita il suo cuore. E lo fa!! Nel 1911, dopo aver avvertito il marito con una veloce lettera di commiato, respirando aria di libertà, finalmente scevra dai vincoli che l’avevano trattenuta troppo a lungo lontana dalla sua patria spirituale, Alexandra David parte alla volta dell’estremo Oriente, attraverso l’India, il Nepal, la Birmania, il Giappone, la Corea, la Cina. Un viaggio di studio, che doveva durare 18 mesi. Di fatto durò 14 anni, fino al 1925. Convertitasi al buddismo, nel Sikkim, piccolo paese dell’Himalaya al confine col Tibet, visse due anni in eremitaggio in una caverna praticando esercizi spirituali e lì trovò un compagno di viaggio in Aphur Yongden, un Monaco Tibetano di 14 anni che lei poi adottò.
L’impresa che compie nel febbraio del 1924, penetrare clandestinamente in Tibet e raggiungere nella città santa di Lhassa, l’ha resa famosa in tutto il Mondo facendone un’icona dell’emancipazione delle donne. Ma, chiudete di nuovo gli occhi, riuscite a vederla? Ha praticamente già vissuto 5 vite in una. Nel 1916 infatti quando incontrò il Panchen Lama, Egli la riconobbe come reincarnazione. Per lei il Viaggio era Incontro. Diceva: “chi viaggia senza incontrare l’altro, non viaggia, si sposta”. Questa credo sia la lezione più grande che ci ha lasciato. Sapersi spostare davvero. Ogni viaggio dovrebbe essere incontro, anche stando fermi. E ogni incontro che facciamo dovrebbe essere un viaggio. Portarci Altrove, pur restando dove siamo. Se ci pensate si può viaggiare solo spostandosi, ma anche spostarsi senza viaggiare. È solo col sapersi spostare dentro, col muoverci verso l’altro, avvicinandosi, imparando qualcosa e lasciandogli qualcos’altro che davvero possiamo dire di essere viaggiatori e non “turisti” dell’Altro.
Lei intanto, nonostante le avversità politiche e la guerra, prosegue, e dopo aver ormai viaggiato per mezzo globo terrestre senza che neanche ci fossero le compagnie low-cost (e i viaggi fossero viaggi veri, fatti di tutti quei Luoghi, paesaggi, lingue, persone che ha incontrato … la immaginate? Una donna che esplorava il mondo inseguendolo, raggiunge Pechino e da lì, attraverso la Cina e poi l’India, in piena guerra civile si spinge oltre il confine a dorso di Yak e mostrandosi travestita da pellegrina mendicante tibetana raggiunge a piedi Lhassa. Sììì, quella Lhassa su cui hanno fatto anche il film Sette anni in Tibet! Alexandra riesce a raggiungere la città, passando il confine indiano per ben due volte in barba alle autorità coloniali britanniche!! Che a pensarci ora quello che fecero i due scalatori del film è davvero niente in confronto all’impresa di Alexandra David, che qui passa (inosservata) alla storia. Su di lei non hanno fatto nessun film con Brad Pitt. E dire che è stata la prima donna europea a esplorare il Tibet, che a quel tempo era sconosciuto e interdetto a tutti gli stranieri.
Era davvero una donna straordinaria, pensate che quando vi si introdusse illegalmente, all’età di 56 anni, lo fece (incredibile ma vero!) sotto forma di khadoma, un particolare tipo di spirito tibetano femminile che a volte assume parvenze umane; la promozione a divinità femminile le fu offerta da eruditi lama incontrati nelle sue precedenti tappe in India, Cina e Sikkim e lei se la portò addosso custodendola nei suoi viaggi. In queste vesti viaggiò senza pericoli e venne ospitata dalla gente del luogo, che era ben felice di potere accogliere a casa propria una khadoma, capace di dare benedizioni e proteggere case e persone dalle sventure della vita. Questa avventura, che la renderà famosa nel mondo, è raccontata nel suo libro Viaggio di una parigina a Lhassa.
Scoperta dalla polizia, nel 1925, Alexandra è costretta a tornare in Francia. La vita di Louise Eugenie Alexandrine David, venuta al mondo il 24 ottobre 1868 a Saint-Mandè, a un passo da Parigi è raccontata anche in tre volumi che festeggiano non solo la vita della grande signora, ma anche quella sua assistente, segretaria personale e aiutante, indissolubilmente legata a lei dal 1959: Marie-Madeleine, Marima. Fu lei “che alla sua morte ne disperse le sue ceneri nel Gange”. Alexandra David morì a centouno anni in Provenza.
Sono stati editi tre meravigliosi volumi di fumetti, Une vie avec Alexandra David-Néel (Bamboo Édition), che raccontano, tra i suoi viaggi, anche questo viaggio: la vita di due donne, dalla cultura e dal carattere diversissimo: una dalla personalità disobbediente, l’altra libertaria, ma con un’unica comune voce. Marie-Madeleine Peyronnet, nata nel 1930 è ancora viva. Ancora oggi dirige la casa di Alexandra e le sue memorie. La Peyronnet racconta nel diario Dix ans avec Alexandra David Néel (Edition Plon) «Ho vissuto accanto a lei, litigando almeno tre volte al giorno, e per fare pace mi raccontava i suoi viaggi. L’ho aiutata nelle ricerche, là dove potevo, imparando a riconoscere i titoli degli oltre quattrocento volumi della sua biblioteca buddista e copiando intere frasi in sanscrito. Le ho preparato da mangiare, l’ho curata, le ho pettinato i lunghi capelli bianchi, e le ho arredato lo studio, quando ormai immobilizzata, aveva deciso di vivere, scrivere e dormire al piano di sopra. E poi sì, anche se questo verbo è stupido, l’ho amata». La frase di Leibniz “Quod non agit, non existit”, ciò che non si muove non esiste, direi che rappresenta la vita di Alexandra.
Alexandra David diceva sempre: “Siamo come onde che vivono e rivivono”, questa è stata la lezione più importante che ci ha lasciato. Speriamo che qualcosa di lei possa vivere e rivivere anche e ancora in noi. (R.F.)
Bibliografia
Viaggio di una parigina a Lhasa, Alexandra David-Néel, Voland 2003
Alexandra che rinacque in Tibet, di Laura Leonelli , Il Sole 24 Ore, 29 settembre 2017
Une Dix ans avec Alexandra David Néel , Marie-Madeleine Peyronnet, Edition Plon , 1973
Vie avec Alexandra David-Neel – Tome 1-2-3: Fred Campoy Mathieu Blanchot
Per maggiori dettagli sia sulla vita che sugli scritti di Alexandra David Neel si consiglia di visitare questi siti:
http://alexandra-david-neel.com