Donne in movimento
Sono accorsa a vedere il film Colette del regista inglese Wash Westmoreland nonostante le critiche scoraggianti. Al cinema le biografie di donne storicamente importanti, ora per fortuna più numerose, sono state una tale rarità nel passato che non se ne può perdere nemmeno una. Ricordo come la visione di Rosa L. nel lontano 1986 (sulla vita di R. Luxemburg, di Margarethe von Trotta) apparisse una rivelazione straniante e incomprensibile al mio occhio giovane e inesperto, come un tipo di narrazione per la quale non avevo parametri.
Tornando a Colette, è vero, come dicono le critiche avverse, che la lingua inglese suona legnosa nell’ambientazione della Belle Époque parigina; che la biografia è limitata al solo periodo della giovinezza della protagonista e procede in modo un po’ didattico. Eppure il film risulta ugualmente suggestivo. Pur ammaliate dalla puntuale ricostruzione storica delle scenografie e dei costumi, sentiamo di non essere davanti ad una rappresentazione oleografica. Simpatizziamo con il regista, che si sforza di sottolineare alcuni passaggi fondamentali nella vita di una donna e alla fine riesce a trasmettere significati importanti in cui possiamo riconoscerci.
La parte più interessante e trasgressiva della vita di Colette fu la seconda, sostengono alcuni critici: ma il taglio scelto da Wash Westmoreland, raccontare la giovinezza della scrittrice che corrispose al suo primo matrimonio, non è né casuale né dettato dall’intenzione di ridurre il personaggio. Al contrario, vuole farci capire in che modo giungerà a spiccare il volo.
Vediamo così Sidonie-Gabrielle Colette, ragazza di campagna, arrivare a Parigi all’età di 20 anni in seguito al matrimonio con Willy, di parecchi anni più grande di lei, giornalista e pseudoscrittore spiantato (campa su un gruppo di giovani che scrivono testi che lui firma) ma piuttosto famoso e ben inserito nella Parigi più brillante e che conta. L’intelligenza della giovane è lusingata dal fatto di essere stata scelta da un uomo così in vista, proprio lei sconosciuta ragazza campagnola e senza dote: che si presta con entusiasmo a costruire con lui un progetto comune, di vita pratica (in cui non manca l’appagamento sessuale) e discussione intellettuale.
Il primo scotto arriva alla scoperta che il marito frequenta di nascosto le prostitute, pratica comune per gli uomini dell’epoca (ma ricordiamo che l’Italia ha oggi il numero più alto di “clienti” in Europa): “Lo faccio per rispettarti di più”, dice Willy, confessando il bisogno sotteso alla logica patriarcale di scindere le donne in un falso dualismo che trasforma il corpo femminile in merce e, pur nelle nostre società del dominio maschile incrinato, ci riguarda tutte. Una concezione destinata a insidiare il rapporto delle donne con se stesse, nutrendo paura e scontentezza di appartenere al proprio sesso. Lo sconforto di Gabrielle non deriva perciò dalla gelosia, ma dallo scontro con la presa di coscienza di questa realtà sconvolgente e invisibile. Un shock che ognuna di noi può rintracciare nella propria storia: a me capitò bambina, sul finire delle elementari, quando scoprii che qualunque maschio per strada poteva dire quello che pensava del mio corpo. E nessuno mi aveva avvertita!
Uno screzio che la futura Colette può comporre solamente affermando il suo bisogno di verità: chiede al marito di comportarsi liberamente ma di non mentirle. Quando scoprirà la sua forte attrazione per le altre donne, sarà lo stesso Willy a incoraggiarla, considerandola un giochetto divertente da trasformare in ménage à trois: salvo poi dichiarare che non sopporterebbe mai che l’interesse della moglie fosse diretto verso un altro uomo! Vale a dire: le relazioni tra donne sono inessenziali, sono gli uomini quelli che contano.
Sempre in cerca di denaro, Willy scopre casualmente che la moglie è una scrittrice talentuosa e la usa per pubblicare a suo nome i romanzi sulle avventure di Claudine, che infiammano Parigi dando vita al primo fenomeno di imitazione di massa del ‘900. La donna che scrive ma si occulta sotto un nome maschile è parabola perfetta dell’incapacità di concepire il talento femminile da parte della cultura patriarcale: alla morte di George Sand, Flaubert aveva scritto “è morto un grande uomo”, non riuscendo ad immaginarsi una genialità di segno femminile.
Ma l’insofferenza di Gabrielle nel celare la sua creatività sotto il nome del marito cresce e finalmente esplode: in seguito all’ennesima dilapidazione da parte di lui delle enormi somme guadagnate con i romanzi di Claudine, che la lascia sul lastrico, e all’incontro con la prima vera innamorata della sua vita, la nobildonna lesbica Missy. Dopo 14 anni di matrimonio si separa legalmente da Willy e comincia a scrivere sotto il nome di Colette. Di qui partirà la sua vita libera in totale ribellione alle regole sociali.
Che cosa ha trasformato la disponibile Gabrielle degli inizi nella libera Colette? Nelle vicende che ha dovuto affrontare durante il matrimonio, Gabrielle sperimenta l’indispensabile processo della nascita a se stessa. Per tutte noi, che abbiamo visto la luce in un mondo che ci rinchiude nei limiti soffocanti di una definizione data dal maschile, la nascita biologica non è stata sufficiente a rendere efficaci i nostri diritti: serve una seconda nascita, che ci permetta di esprimerci liberamente senza dubitare della validità di ciò che desideriamo. Una trasformazione intima che fiorisce nella condivisione di esperienza con altre donne in rivolta, come accade nel femminismo. Colette ebbe dalla sua le mirabolanti sperimentazioni della Parigi degli inizi del secolo scorso, dove donne come Missy avevano il coraggio di dichiararsi apertamente lesbiche e si vestivano da uomo. E soprattutto, come mostrato intelligentemente dal film, il sostegno fondante di una madre originale, fiera di sé e della figlia, che le aveva trasmesso gli strumenti per credere nelle proprie doti e smarcarsi dal ruolo che gli uomini volevano affidarle.
In questo risiedono secondo me il senso e la bellezza del buon cinema: nella commistione di immagini e parole, essere capace di cogliere le mutazioni dentro le nostre menti e i nostri cuori, e mostrarcele in movimento. (C.S.)