La “Signora degli Alberi” che ha lottato per tutte noi
Wangari Muta Maathai , la “Signora degli Alberi” ha piantato radici nel mio cuore.
Wangari era “Wangari Wetu”, ossia la “nostra Wangari” per coloro che l’amavano e ammiravano, e “yule mwanamke” ossia “quella donna” per quanti – tanti – invece l’hanno odiata. Indubbiamente grande donna e guerriera. Biologa, Wangari nasce nel 1940 nel piccolo villaggio di Ihithe, nei lussureggianti altopiani centrali del Kenya in una famiglia kikuy, il gruppo etnico più popoloso della nazione. È cresciuta in un mondo in cui non c’erano libri o gadget nelle case, ma c’erano leopardi ed elefanti nelle fitte foreste intorno, acqua pulita, terreni ricchi e cibo e lavoro per tutti.
Poche e pochi di noi sanno che è stata una grandissima ambientalista e attivista politica. Per il suo paese e per il mondo intero. “Ora le foreste sono crollate, la terra è stata trasformata in agricoltura commerciale, le piantagioni di tè mantengono tutti poveri, e il sistema economico non consente alle persone di apprezzare la bellezza di dove vivono“. Wangari è diventata la prima donna africana a ricevere un Premio Nobel. Nel 2004. Per la Pace. Le è stato assegnato per «il suo contributo alle cause dello sviluppo sostenibile, della democrazia e della pace». Queste sono le parole scelte e motivanti il premio: “Maathai si è alzata coraggiosamente contro il precedente regime oppressivo in Kenya. Le sue singolari forme di azione hanno contribuito a richiamare l’attenzione sull’oppressione politica e internazionale. È stata d’ ispirazione per molti nella lotta per la democrazia e in particolare ha incoraggiato le donne a migliorare la loro situazione” (Norwegian Nobel Committee, annuncio del conferimento del Premio Nobel per la Pace nel 2004)
Wangari Muta si è laureata in biologia nel 1966, ed è stata la prima donna centrafricana a laurearsi presso l’Università di Pittsburgh; qui ha iniziato a lavorare presso il dipartimento di zoologia finché non è stata nominata assistente di ricerca al Dipartimento di zoologia dello University College di Nairobi. Così torna in Kenia, ma al suo arrivo scopre che il suo posto è stato assegnato a un uomo, non ancora laureato, che sta ancora studiando in Canada e che è della stessa etnia del direttore, e soprattutto di un altro sesso…. Riesce allora a ottenere un Dottorato di Ricerca e quindi la Cattedra in Anatomia Veterinaria. È la prima donna keniota a ricoprire simili incarichi.
Nel 1976 si sposa con il deputato Mwangi Mathai, ma se ne separa già nel 1977. Quando il marito Mwangi presenta istanza di divorzio nelle sue memorie ammette che “Wangari avesse una mente troppo forte per essere una donna e che quindi lui era incapace di controllarla”. Oltre a definirla “crudele”, Mwangi Mathai nel corso del processo, forte della sua posizione, accusa pubblicamente la moglie di adulterio con un altro membro del Parlamento: il giudice si dichiara, prevedibilmente, a favore di Mwangi. Wangari Mathai rilascia un’intervista in cui definisce il giudice incompetente e corrotto. L’intervista viene valutata come oltraggio alla corte e Wangari Mathai è condannata a sei mesi di prigione. Quando tutto finisce Wangari cambierà il suo cognome scegliendo per sfida di aggiungere una “a” in più: Maathai. Tutto questo accade mentre Wangari, iscrittasi nel Consiglio nazionale delle donne keniane, ne è diventata la presidente. Quando si dice le coincidenze…. Con queste Donne mette in piedi e realizza un grandissimo progetto: il rimboschimento del territorio. Per farlo dà vita al movimento popolare Green Belt Movement: 20 milioni di alberi verranno piantati nelle aziende agricole, nelle scuole e nei territori di gran parte del Paese.
«Quando cominci a lavorare seriamente per la causa ambientalista ti si presentano molte altre questioni: diritti umani, diritti delle donne, diritti dei bambini, e allora non puoi più pensare solo a piantare alberi».
Così Wangari Muta Maathai, mentre pianta milioni di alberi, coinvolge migliaia di donne in un processo di consapevolezza, non solo del rispetto della natura ma della propria dignità e del proprio valore, per renderle protagoniste del proprio riscatto e di un reale cambiamento della qualità della vita.
E mentre il mondo applaude queste donne, e il grande lavoro che stanno facendo per il loro paese e per il pianeta intero, non altrettanto apprezzamento ricevono in patria. Il governo keniota pretende che il Green Belt Movement non abbia legami con il Concilio Nazionale delle Donne, con la scusa che quest’ultimo debba avere come oggetto esclusivamente i diritti delle donne e non quelli ambientali. Nel 1987 Maathai si dimette quindi da responsabile del Concilio Nazionale per portare avanti l’azione della sua organizzazione non governativa. Ma i suoi oppositori la ostacolano con tutti i mezzi governativi a loro disposizione: invece di favorire i suoi nobili progetti, promuovono leggi che li blocchino sul nascere.
Ma “la nostra Wangari” non ha intenzione di fermarsi. È coraggiosa. È un’idealista che crede fortemente nel bene. E soprattutto intende realizzarlo. Nell’ottobre del 1989 viene a conoscenza di un piano per la costruzione di un enorme complesso edilizio, quartier generale del Kenya Times, che prevede uffici, un centro commerciale, un auditorium, gallerie d’arte ed un parcheggio per 2000 vetture, all’interno del verde Parco Uhuru, il più grande di Nairobi. Non perde tempo e subito mette in atto un’intensa campagna di protesta scrivendo a tutti i poteri coinvolti nell’iniziativa. Anziché rispondere alle sue proteste, il governo attua una campagna denigratoria a mezzo stampa. Il progetto va avanti ed il 15 novembre viene aperto il cantiere, con il presidente Moi che definisce Wangari, e tutti coloro che vi si oppongono, “persone con le formiche in testa”. Ma la protesta è partita e non si arresta: la sua diffusione mediatica raggiunge anche l’Europa e porta gli investitori stranieri a tirarsi indietro. Nel gennaio del 1990 il progetto viene finalmente fermato e cancellato.
E mentre la comunità internazionale continua ad insignirla di premi e riconoscimenti per il suo impegno, negli anni Maathai sarà accusata e arrestata diverse volte per “crimini”, legati al suo impegno per i diritti umani in Kenia.
Wangari ha avuto una vita piena e lunga. Nel 1997 si è canditata alle elezioni parlamentari ma le ha perse, probabilmente grazie al voto truccato. Nuovamente candidata alle elezioni del 2002, ottiene nel suo distretto elettorale il 98% dei voti, e nel gennaio del 2003 è nominata membro del Parlamento e sottosegretario al Ministero dell’Ambiente, delle Risorse Naturali e della Fauna Selvatica del Kenya. Una carica che ha mantenuto fino al 2005. Nel 2006 ha pubblicato la sua autobiografia (Unbowed; trad it. 2007 – Solo il vento mi piegherà), cui hanno fatto seguito The challenge for Africa (trad. it. 2010) e Replenishing the earth (2011).
Wangari non smette di lottare fino alla fine dei suoi giorni. Nonostante il cancro alle ovaie, insieme alle “sorelle Nobel” Betty Williams e Mairead Corrigan, Rigoberta Menchu, Jody Williams e Shirin Ebadi, fonda la Nobel Women’s Initiative per dar visibilità a quelle donne che, come lei, cercano di rendere il mondo un po’ più vivibile per tutti.
Wangari Maathai: un’autentica figlia dell’Africa. Nel suo discorso di accettazione del premio Nobel le sue parole sono state per le donne: “spero che il mio successo sia da stimolo per le altre donne per raggiungere un ruolo più attivo nella comunità. Spero di incoraggiarle ad alzare la voce e a conquistare maggiori spazi di potere”.
La “Signora degli alberi” muore di cancro a 71 anni in un ospedale di Nairobi nel 2011, amata, rimpianta e ricordata da molti.
“L’albero è solo un simbolo di ciò che accade all’ambiente. L’atto di piantarne uno è un simbolo di rivitalizzazione della comunità. Piantare alberi è solo il punto di accesso al più ampio dibattito sull’ambiente. Tutti dovrebbero piantare un albero” .
Fonti:
Necrologio di Wangari Maathai John Vidal The Guardian Lun 26 set 2011
Sylvie Coyaud Wangari Muta Maathai, Enciclopedia delle donne