È il 1390, Dorotea sale in cattedra e viene pagata
Dorotea Bucca è colei che ci ha aperto un varco nella Storia, una delle tante pioniere sconosciute della scienza e della filosofia. Una donna, una studiosa, una letterata che, pur tra i mille divieti, imposizioni e costrizioni imposte al mondo femminile nel Medioevo, riuscì a ritagliarsi uno spazio all’interno della cultura dominante. E anche se, quasi sempre, quando le donne riuscivano in quest’impresa, quegli spazi il più delle volte erano apparenti e mantenevano alla fine la fisionomia delle mura domestiche, dei salotti o dei conventi. Ma il suo caso fu eccezione. Dorotea Bucca, che insegnò all’Università di Bologna per ben 46 anni, con un posto dominante e un vero stipendio, rappresenta una figura che col suo operato contrastò con forza l’egemonia maschile, grazie a una personalità di alto valore intellettuale ed espressivo.
Dorotea è stata la prima insegnante universitaria pagata della storia. In un tempo in cui alle donne veniva impedito di studiare anche solo per imparare a leggere e scrivere, lei salì letteralmente in cattedra nella prima università d’Europa: la prestigiosa cattedra di filosofia e medicina all’Università di Bologna, dal 1390 fino alla sua morte nel 1436.
Era figlia d’arte, perché il padre Giovanni, era anche lui un filosofo e un medico di grande fama che aveva occupato lo stesso posto. Dorotea crebbe in una famiglia colta e di larghe vedute, con un padre che la educò come si faceva per i maschi, assecondando le sue attitudini, lasciando crescere, anzi stimolando, il suo talento. Giovanni era così fiducioso del talento della figlioletta, da incoraggiarla nello studio della medicina fino a farle conseguire il dottorato in filosofia. Dorotea dovette però, a quanto si dice, seguire le lezioni vestita da uomo poiché, “causa sexus”, era una cosa da maschi.
E se Eloisa, a Parigi, quasi un secolo prima, poté studiare e andare a lezione infiocchettata e imbellettata, è pur vero che poi divenne ”solo” badessa e non avrà il posto che invece riuscirà a occupare Dorotea. Ma Dorotea non fu la prima donna ad assumere incarichi prettamente maschili, come Trotula de Ruggiero, medichessa salernitana e come altre pochissime donne del Medioevo. Sempre in quel tempo e sempre a Bologna, prima di lei anche Bettisia, appartenente alla nobile famiglia dei Gozzadini, si distinse per la grande attitudine intellettuale tanto da attirare l’attenzione di Giacomo Baldavino e Tancredi Arcidiacono dell’Università di Bologna. Questi fecero pressioni affinché la giovane continuasse negli studi e Bettisia si laureò in giurisprudenza il 3 giugno del 1236 con il massimo dei voti. Nel 1200! Inizialmente insegnò in casa, poi nelle scuole della città. La sua grande capacità oratoria era tale che le venne offerta una cattedra all’università. Lei all’inizio rifiutò ma poi, per mantenersi, finì per accettare, e restò in attività fino alla morte. Divenne così conosciuta e popolare e le sue lezioni attiravano talmente tanti studenti da dover essere tenute all’aperto in una piazza. Nel 1242 ebbe l’onore di pronunciare l’orazione funebre per il vescovo di Bologna Enrico della Fratta.
È indubitabile che il contesto culturale in cui crebbero queste due giovani donne fosse il migliore che potessero trovare in Europa: vivevano entrambe in una città che era al centro degli scambi economici d’Europa, città di grande apertura riguardo all’educazione delle donne in materie scientifiche, maggiore di quanto non avvenisse nello stesso periodo, ad esempio, in Inghilterra. Dorotea Bucca alla fine diventò professore(ssa) di Medicina all’Università di Bologna: così rispettata e tenuta in considerazione da essere trattata alla pari degli uomini; e alla pari degli uomini remunerata con un compenso di cento lire (molto elevato per i tempi) affinché continuasse a istruire gli studenti del padre. Così brillante e illuminata da costituire un vero faro per i suoi discenti; tanto competente da farsi largo in un mondo di uomini divenendo l’autorevole maestra di centinaia di loro. Qualcosa di assai raro a vedersi anche nel nostro “illuminato” tempo.
Pensate che anche Margherita Legnani, sempre nel Medioevo, teneva nella stessa Università, ma come giurista, delle vere e proprie disquisizioni accademiche pubbliche. Anche per lei gli studenti affollavano a tal punto l’aula, da costringerla a insegnare affacciata ad una finestra, prospiciente una piazza gremita, come se si trattasse di una tribuna. C’era quasi un intendimento registico, quasi una messa in scena nella stessa lezione. Che spettacolo, ve la immaginate Margherita?
Dorotea Bucca insegnò per ben 46 anni, non è incredibile?
Dorotea “esercitò tale ufficio con suo grande onore e con soddisfazione di tutta la città e a udir lei concorrevano molti scolari d’ogni nazione, cosa veramente rara e degna d’esser notata e ammirata”, e quando morì nel 1436, a quasi ottant’anni, era a dir poco venerata dai suoi studenti.
Quando penso a Dorotea, così come a Trotula, a Margherita, a Bettisia, mi stupisce come le loro carriere siano state prive di ostacoli. Sì certo, c’era anche Novella d’Andrea che, quando insegnava, doveva leggere dietro un sipario che la separava dagli studenti, affinché non venissero distratti dalla sua avvenenza. Ma tutte alla fine insegnarono a uno stuolo di discenti.
Ci s’immagina, guardando alla storia e soprattutto alla storia moderna, incredibili battaglie e sacrifici per poter raggiungere quelle vette. Invece bastò loro studiare. Bastò che fosse loro data la possibilità di mostrare quello che sapevano fare bene. Poi venne premiato il loro merito. Nessuna delle due fu una femminista ante litteram, anche se la loro vita è un esempio di femminismo in piena regola, ma nei loro rispettivi cinquant’anni di insegnamento lavorarono serenamente, senza sgomitare e nel pieno rispetto dei colleghi e degli allievi. Resta però il fatto, come accade per noi donne quasi sempre dimenticate, che benché fosse una figura pubblica di spicco a Bologna, di Dorotea Bucca sappiamo molto meno di altri suoi colleghi meno illustri poiché, essendo una donna, nessuno dei suoi contemporanei, pur riconoscendone l’autorità e l’importanza, si è preso la briga di raccontarne la vita. E spiace pensare che nemmeno uno dei suoi scritti è giunto sino a noi.
E stupisce alquanto che appaia nel noto libro di Giovanni Boccaccio “Delle donne illustri”. Non tanto perché non fosse illustre, ma perché Dorotea visse dal 1360 al 1436 mentre Boccaccio è vissuto tra il 1313 e il 1375. La medichessa, che aveva quindi appena quindici anni quando morì Boccaccio, venne infatti inserita nell’edizione del libro dai curatori successivi.
Dorotea Bucca è la testimone per eccellenza di quell’esercito silenzioso di donne che, nel corso dei secoli, hanno contribuito al sapere scientifico e culturale della società facendo crescere l’emancipazione femminile, non attraverso atti eroici ma nella loro quotidianità; senza lasciare una memoria perché il mondo maschile ha sì loro permesso d’esercitare, ma ha negato loro un vero riconoscimento ai posteri. Donne che con le loro eccellenti, capacità e competenze hanno dato un fondamentale contributo a rendere “normale” ciò che un tempo, che ancor oggi perdura in moltissimi campi e moltissime menti, sembrava inaudito.
Donne che andremo questa estate a incontrare alla Certosa di Bologna, con un bellissimo racconto itinerante organizzato da Sentieri Sterrati. (R.F.)