Aphra Behn, anticonformista e fustigatrice dei costumi del tempo
“E tutte le donne insieme dovrebbero cospargere di fiori la tomba di Aphra Behn, che si trova assai scandalosamente,
ma direi giustamente, nell’abbazia di Westminster, perché fu lei a guadagnare loro il diritto di dar voce alla loro mente.” Virginia Woolf – Una stanza tutta per sé.
Poco conosciuta dal grande pubblico odierno, anzi ignorata e svilita come autrice per tre secoli, Aphra Behn è stata una scrittrice, poetessa e drammaturga di grandissimo rilievo. Venne messa all’indice dai moralisti dell’epoca (di tutte le epoche) che la consideravano alla stregua di una prostituta, dacché la donna che scriveva per denaro questo per loro era.
Aphra fu la prima donna inglese a scrivere per denaro. Dirà di scrivere “per il pane” ma anche per la gloria, “per la mia parte mascolina, per il poeta che c’è in me“. Aphra infatti riusciva a mantenere se stessa e tutta la sua famiglia scrivendo. Penna assai prolifica e anticonformista, fustigatrice dei costumi delle classi sociali di allora, la Behn fu antesignana nell’affrontare argomenti scabrosi quali l’omosessualità, l’impotenza, la violenza sessuale. Le sue due opere teatrali “The Forc’d Marriage” e “Sir Patient Fancy” le attirarono accuse di oscenità e libertinaggio perché in esse la scrittrice parlava esplicitamente di relazioni sessuali e prostituzione.
Molti dei suoi colleghi uomini trattarono gli stessi temi: per un uomo era lecito, per una donna no. Per questo le fu ingiustamente attribuito l’epiteto di “puttana e poetessa”, anche per la tendenza del periodo di sovrapporre le tematiche di cui si trattava alla donna che le esprimeva.
Aphra se ne infischiava e nelle sue opere continuava a parlare di omosessualità e del ruolo marginale e subalterno della donna nella società, di cui era emblema il matrimonio forzato. L’omosessualità è una presenza costante nelle sue opere, coerente con la sua vita in cui, dopo la morte del marito, ebbe amanti di entrambi i sessi. Divenne oggetto di insulti feroci da parte dei critici e censurata per tutta la sua vita, vita attraversata da vicende drammatiche e avventurose: una femminista ante litteram, una donna coraggiosa e spregiudicata.
Aphra (Canterbury, 10 luglio 1640 – 16 aprile 1689) visse durante il periodo della Restaurazione. Nel suo primo importante viaggio visitò una colonia inglese sul fiume Suriname in Venezuela, dove è quasi accertato l’incontro con un principe africano tenuto in schiavitù; il principe le offrì lo spunto per scrivere una delle sue opere più famose “Oroonoko, or the Royal Slave”, considerato il primo romanzo antischiavista, e “abolizionista”, mai scritto prima da una donna e il punto di partenza del romanzo moderno; nel testo
dimostrava di essere legata al suo personaggio non solo attraverso la scrittura con la quale gli aveva dato la vita, ma anche da un affetto tenerissimo, paragonabile all’amore di una madre verso suo figlio. Aphra Behn, riconosceva che la vita degli schiavi non era certo facile, ma era consapevole della ricchezza che il commercio con le colonie poteva portare alla corona britannica e di quante persone potessero beneficiare di tale ricchezza. Di conseguenza, non condannò apertamente il colonialismo, perché ne riconosceva il potenziale economico; tuttavia non accettava la precarietà delle condizioni di vita degli schiavi e alla fine lasciava liberi i lettori di giudicare da soli il tema.
Behn aveva compreso che l’incontro tra i due mondi era avvenuto, ma il prezzo da pagare era stato la perdita dell’innocenza da parte delle popolazioni autoctone. La convivenza era possibile, secondo la scrittrice, solo se c’era tolleranza, solo se c’era dialogo, inteso come scambio d’opinioni pacifico e rispettoso della diversità. Questo libro dovrebbe essere letto da tutti i politici. In realtà da tutti noi, già dalle elementari considerando come gli eventi ai nostri giorni si stiano estremizzando e si vada pericolosamente di nuovo verso i roghi di libri e verso l’antisemitismo. Di fatto, la narratrice di Oroonoko si arricchisce in quanto testimone oculare dei fatti.
Conoscere un principe facoltoso e tollerante, costretto alla schiavitù, perché ritenuto inferiore culturalmente, era indubbiamente un modo per mettere allo scoperto la paura – del tutto infondata – degli uomini di fronte alla diversità. La paura dei coloni di guardare fisso negli occhi uno schiavo e vederci se stessi e le proprie debolezze. Per questo, e per la “mostruosità” del suo genio, Aphra Behn fu insultata per tutta la vita, additata come “cattivo esempio” subito dopo la morte, ignorata o svilita come autrice per tre secoli.
Un redattore anonimo della “Sunday Review” così scriveva di lei alla fine dell’Ottocento: “È vero che la sua scandalosa reputazione non le ha impedito di essere seppellita nell’abbazia di Westminster, ma è un gran peccato che i suoi libri non stiano marcendo colà assieme alle sue ossa.” (E.P.)